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Aprile 15 2024

Desiderio

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Diletta era una manna dal cielo. Fresca di studi linguistici, era moderna e spigliata, conosceva a menadito le principali lingue europee e stava anche studiando il mandarino. Amava studiare e comprendere la società e la cultura degli altri popoli. Quello, e le sue belle gote di ventiseienne avevano dato una sterzata di vitalità alla piccola agenzia turistica del dottor Lamberti. Ogni tanto il dottore osservava l’altro dipendente, Pietro, le spalle cadenti, i capelli un po’ unti, lo sguardo spento, e poi si rivolgeva a Diletta, e aveva fitte di pentimento, come uno che per tutta la vita abbia guidato un catorcio, senza sapere che poteva permettersi una fiammante fuoriserie.

C’era da aggiungere che la fuoriserie, Diletta cioè, sembrava lo avesse preso in simpatia. O forse, era solo bene educata, e un po’ accondiscendente, verso una persona più grande? Comunque, a volte Lamberti s’illudeva che vedesse in lui una sorta di mentore, perciò non perdeva occasione per darle consigli di vita.

«Vedi, mia cara Diletta» (aveva preso a chiamarla “mia cara.” Gli stava diventando cara, in effetti) «nella vita una persona deve soprattutto mettere ordine fra quello che vuole fare e quanto è disposto a lavorare per ottenerlo.»

«Che pensiero profondo, dottor Lamberti» rispondeva lei, forse un po’ ironica, sorseggiando il cappuccino di soia schiumato. Per lei, Lamberti era sempre “il dottore” o, quando si sentiva di manica larga, “il nostro buon dottor Lamberti,” per quanto lui insistesse nel farsi chiamare col nome di battesimo.

Il dottore, sentendosi incoraggiato, continuò a snocciolare la sua piccola filosofia di vita. Ne abbiamo tutti una, Se ci pensate.

«Bisogna porsi obiettivi realistici. Capire ciò che è veramente benefico per noi. L’arte di vivere» diceva «consiste nell’ottenere ciò che è concretamente realizzabile coi mezzi a nostra disposizione.»

«E dopo?» chiese Diletta.

«Che intendi?»

«Dopo che uno ha ottenuto quello che vuole, cosa fa?»

«Lo fa» rispose il dottore, sentendosi un po’ in imbarazzo. La conclusione del discorso non era sembrata un granché anche a lui. La realtà era che era sempre troppo generico. Non arrivava al punto. Voleva dire a Diletta che da ragazzi abbiamo tutti grandi ambizioni, ma spesso la vita ci delude. Però non voleva nemmeno tarparle le ali.

«A me piacerebbe vedere il Giappone» rispose lei, finendo di sorbirsi il cappuccino, nettando l’allegro sbuffo di schiuma dal labbro superiore.

«Lo farai, quando sarà il tempo…» disse il dottore, indulgente. Disse ancora qualche parola, di quella saggezza che ascoltava in chiesa. C’è un tempo per tutto, no?

D’altra parte, sperava si facesse bastare il Salento con le amiche, nel frattempo. Insomma, col piccolo rimborso spese che le dava…

«E lei?» chiese infine Diletta, mentre uscivano dal bar, baciati dal bel sole di luglio. «Si confessi, scommetto che ha ancora un desiderio.»

«Non è possibile non averne…» glissò Lamberti, con quei puntini di sospensione che usiamo quando abbiamo timore di come possa terminare il discorso.

Però se lo chiese, mentre tornava a casa e, su richiesta della moglie, comprava il pane, il latte e le mozzarelle.

Se lo chiese a cena, mentre osservava la moglie dar da mangiare al bambino.

Se lo chiese ancora, mentre, steso sul letto matrimoniale, spegneva il televisore per aprire le storie di spionaggio di John Le Carré.

La moglie conosceva molto a fondo il buon dottor Lamberti.

«Un soldo per i tuoi pensieri» gli disse, mentre si svestiva per mettersi a letto.

«Mando tante persone in giro per il mondo, ma noi non andiamo da mai da nessuna parte.»

«Abbiamo stabilito che viaggiare non ci piace.»

«Sì, perché?»

«Preferiamo il nostro mare.»

«Vuoi andare da qualche parte?»

«Vorrei andare con te a mare.»

«Domenica possiamo farlo, se il tempo è buono.»

«Affare fatto.»

«Ti senti ancora inquieto?»

«Sì.»

«Com’è il libro?»

«Buono…» disse Lamberti ma non riusciva a seguire veramente il filo della storia. Pensava al Giappone. Perché una persona vorrebbe andarci?

 

Due giorni dopo, trovò il coraggio di affrontare il discorso con Diletta. Erano sempre al solito bar, di fronte all’agenzia. Lamberti aveva detto: «Portiamoci il computer e lavoriamo al bar. Ora va di moda.»

«Le confesso che preferisco l’ufficio. Almeno non rischiamo che il cappuccino finisca sulla tastiera.»

«Un diversivo ci farà bene.»

Stavano traducendo il sito dell’agenzia in altre lingue. Lamberti, convinto di avere buone competenze linguistiche, si rendeva conto di quanto fosse debole rispetto alla stagista.

«Come mai vuoi andare in Giappone? Sei forse buddhista?»

Diletta, attenta a non far terminare alcuna goccia di latte sul pc, terminò il cappuccino, quindi rispose, nobilmente:

«Mi piace viaggiare.»

Non si sbottonò sulle sue credenze spirituali.

«A molti piace. Perché?»

La ragazza rise.

«Lei ha aperto un’agenzia viaggi. Dovrebbe sapere tutto sui motivi.»

«All’epoca era un buon modello di business.»

«Ora?»

«Si galleggia. Mi piacerebbe assumerti.»

«Non si stanca mai dell’Italia, lei?»

«A volte.»

«Se ci pensa, siamo solo un mondo fra tanti. Ci sono altri mondi. Più avanzati del nostro. Più arretrati. Semplicemente, diversi. Ogni viaggio non è solo nello spazio, ma anche nel tempo.»

«Sei una studiosa, quindi.»

«Forse.»

«Scriverai un blog, sul tuo viaggio?»

«Nessuno li legge più. Dottor Lamberti, lei non è affatto aggiornato» rispose, ridendo.

«Certo. Però scatterai delle foto. Scriverai sul Giappone.»

«Dovrò farlo. Il viaggio sarà finanziato, in effetti, da una rivista.»

Lamberti si sentì improvvisamente depresso.

«Quando andrai?»

«Al termine dello stage.»

«Se ti facessi una buona offerta… un buon contratto…»

Diletta accarezzò il dorso della mano del datore di lavoro.

«Lei è una cara persona» disse. A Lamberti, da come aveva pronunciato la frase, parve che la ragazza si fosse leggermente commossa, ma non era certo. «Senta, che gliene pare se terminiamo col lavoro, e poi portiamo un caffè e un cornetto al povero Piero? Mi sembra sempre molto deperito.»

“Pietro…” pensò Lamberti. Si depresse ulteriormente al pensiero di com’era l’ufficio prima dell’arrivo di Diletta.

«Se, per caso, conosci qualche amica…» cominciò a dire, mentre finivano di lavorare.

 

Diletta rimase con loro ancora un mese. Di solito non si dà una buona uscita agli stagisti, ma lui decise di infilare qualche banconota in una busta bianca. “Per il Giappone.” Mentre se la rigirava fra le mani, continuò a pensare a Diletta. Gli piaceva tanto. Gli sembrava come un’aliena.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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