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Dicembre 14 2024

I cavalieri di San Francesco

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Roma, anno del Signore 1223. Come è noto, per tre volte Francesco sentì il Crocifisso ingiungere: «Va’, e ripara la mia Chiesa.» La voce non intendeva la chiesa fisica della Porziuncola di Assisi, dove l’ordine francescano aveva una misera dimora, ma quella universale di Roma. Era chiaro che il movimento di rinascita spirituale, se doveva esserci, doveva stare all’interno della Chiesa. Dopo che Francesco emanò la Regola (ciò a cui i frati francescani erano tenuti ad attenersi per stare nell’ordine), andò a Roma coi confratelli per chiedere a Papa Onorio III l’approvazione di essa con una bolla. Altrimenti, i frati minori rischiavano l’eresia.

Francesco sapeva che quella era una svolta decisiva della sua esistenza. Se anche Dio ti parla, hai sempre bisogno della conferma della realtà, per sapere che non sei pazzo. Per tre mesi stettero a Roma, mendicando e predicando, fino a quando il serafico padre si scoraggiò e disse che desiderava tornare alla Porziuncola. Era sempre più acciaccato, quasi cieco, perdeva di fiducia nella sua missione e desiderava soltanto tornare alla sua Assisi.

Bernardo, il suo amico d’infanzia e consigliere più fidato, non era d’accordo. Ne parlarono seduti a un sagrato, mentre altri due frati chiedevano del pane per loro e i confratelli, a un fornaio alquanto scostante.

«Il Papa potrebbe pronunciarsi da un momento all’altro.»

«È tanto che aspettiamo» disse Francesco. «Torniamo a casa.»

«E se dovesse pubblicare la bolla? Come verremmo a saperlo?»

Ci pensò su.

«Ci sarebbero quei due ragazzi. Quei cavalieri…»

Durante la permanenza dei francescani a Roma, a forza di mendicare e predicare, le fila s’erano ingrossate di due ragazzi confusi, che non sapevano ancora se ascoltare il Vangelo o il mondo. Intanto, non avevano ancora rinunciato ai loro cavalli, che servivano per svolgere piccole mansioni con cui, dicevano, potevano guadagnare cifre da destinare ai fini dell’ordine. E poi, insistevano per indossare il loro abito secolare. Da un momento all’altro (sostenevano) avrebbero messo lo scomodo saio, ma erano ancora incerti. Francesco era un uomo paziente. Aspettava la loro conversione definitiva, come aspettava che Onorio ascoltasse i suoi migliori angeli. O, almeno, i consiglieri del papato che volevano venire a miti consigli. Però era stanco di stare a Roma. Era decadente, piena di tentazioni, e non gli piaceva. I cavalieri si chiamavano Sesto e Adriano.

«Diamo loro voce di venire ad Assisi, se Onorio si pronuncerà» disse Francesco, semplicemente.

«Potrebbero scordarsi di noi. Dimenticare la loro missione. Il loro spirito è ancora debole.»

«Le tentazioni fortificano lo spirito.»

«Altrimenti?»

Francesco non disse nulla. Si alzò. La decisione era presa.

«Anvedi quella…» disse Adriano, scorgendo una popolana particolarmente procace. Stava sbucciando una mela con un coltellino, seduto al sagrato della  chiesa che era diventata punto di riferimento per Francesco e il suo seguito. Sesto, che dei due era quello in teoria più addentro nelle cose dell’ordine, gli lanciò un’occhiataccia.

«Hai commesso peccato. Lascia stare quella sorella.»

Adriano si mostrò conciliante.

«Ma secondo te è vero o sono tutte frescacce

«Cosa?»

«Che ora dovemo fa la fame per poi avere tutto sto popò de roba

«Francesco è ispirato dall’alto. È chiaro» disse Sesto, sfogliando il suo volume di Tito Livio. Gli pareva che gli Antichi non avessero mai parlato di nulla di ciò. La predicazione di Francesco gli sembrava un fatto nuovo. Inaudito.

«Lo sai che ha detto il fraticello, vero?» disse Adriano, sempre ammiccante.

«Cosa?»

«Che quei libri profani sono come le sorelle per me. Non te li puoi portare, ora che andiamo ad Assisi.»

«Perciò tu sei convinto di andare?» mormorò Sesto.

Fra i due, era quello più incerto. Rinunciare alla compagnia di una popolana, o a portare un coltellino in saccoccia, alla fine era poca roba. Ma: Tacito, Sallustio, Seneca, Tito Livio… il sommo Virgilio, che caspita. Per mettersi a leggere manoscritti sbrindellati scritti da asceti quasi del tutto privi di alfabetizzazione. Coglieva, intellettualmente, che Francesco aveva ragione. Ma, esattamente come il giovane ricco del Vangelo, non sapeva come rinunciare ai suoi beni.

Bernardo uscì dalla chiesa e li mise a parte della decisione di Francesco.

«Volete che andiamo dal Papa?» chiese Adriano, titubante.

«Non parlerete certo col Santo padre, ma con uno dei suoi segretari. Sesto, che sa le lettere, farà la copia della bolla.»

«Ne sono onorato» disse lui.

«Non esiste onore nell’ordine, solo servizio» rispose Bernardo, seccato. «Francesco confida in voi. Non lo deludete.»

«Non lo faremo» rispose Adriano, convinto.

Sesto deglutì. Se avesse dovuto copiare la bolla, per poi andare ad Assisi, avrebbe veramente dovuto rinunciare a tutto. Non solo ai libri, ma anche alla famiglia, che contribuiva a mantenere col suo lavoro di scrivano.

«Sesto, sembra che hai visto un fantasma» disse sua sorella (quella di sangue) aprendogli il cancelletto della loro piccola villa, poco fuori le mura.

«Che fine avevi fatto?» chiese il padre, accovacciato nell’orto.

«Niente di che.»

«Hai lavorato?»

«Sì.»

«Fa’ vedere.»

Il ragazzo lanciò per terra il sacchetto di cuoio. Rotolò qualche moneta di scarso pregio. Il padre le prese.

«Per questo ti abbiamo messo a studiare?»

«Il lavoro va e viene.»

«Per questo ti diamo il cavallo?»

«Non potrei lavorare senza.»

«Scommetto che hai perso tempo dietro a quei cenciosi.»

«Sono sant’uomini.»

«La mamma ti ha fritto i carciofi, ingrato. Va’ da lei e dalle un bacio.»

Sesto entrò in casa. L’odore era buono.

Poco dopo, arrivò Adriano. Era un ragazzo vigoroso, sempre di buon umore, a differenza di Sesto. In casa era bene accolto.

«Grosse novità.»

«Cosa?»

«La bolla. L’hanno appiccicata.»

«Pensavo che dovessimo andare dal segretario.»

«No, l’hanno messa fuori dal Laterano.»

«Come farò a copiarla, se non posso stenderla su un tavolo?»

«Fallo. Francesco conta su di noi.»

«Anche tu co sti’ disgraziati» mormorò il padre di Sesto.

«Sono in gamba. È gente che vede lungo…» spiegò Adriano, migliorando un po’ la situazione di Sesto rispetto alla famiglia. Di lui si fidavano maggiormente. Spiegò loro la predicazione di Francesco a grandi linee. Sesto pensò che l’aveva capita meglio di lui, anche se era privo d’istruzione.

La bolla, in effetti, era affissa fuori da un ingresso secondario della basilica del Laterano, pressoché ignorata da tutti. Il popolo romano, e la Chiesa stessa, ritenevano di avere altre gatte da pelare. Sesto si era portato il materiale da copista. Sedette per terra e cominciò il suo scomodo lavoro.

«Che fa?» chiese un uomo in abito cardinalizio.

«Porto notizia a Francesco.»

«Pensavo fosse in città.»

«È partito da qualche giorno.»

«Ma lei non è un frate.»

Sesto rifletté sulla risposta.

«Ci sto provando.»

«Faccia vedere» chiese il cardinale, prendendo la copia. «Scrive bene. Neanche un errore. È sprecato per andare ad Assisi. Finisca il lavoro e vada dal mio segretario. Le do di meglio da fare.»

Sesto si sentì riempire di calore. La sua famiglia sarebbe stata fiera di lui, finalmente. Avrebbe messo pane in tavola e regalato monili alla madre. Si rese conto che aspettava quel momento da tutta una vita.

Adriano arrivò di gran carriera, col suo bel cavallo.

«La bolla?»

«Eccola» disse, arrotolando la copia.

«Alzati e andiamo» disse. «Non ho mai visto Assisi. Sono curioso.»

Sesto sospirò. Si grattò il capo. Scelse attentamente le parole, come sapeva fare.

«Vedi, Adriano, amico mio» disse, cominciando a sudare e a balbettare. «Se ci pensi, ognuno di noi ha una sua chiamata…»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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