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Ostuni
Ottobre 18 2024

Antonella Anglani torna a casa

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Antonella Anglani, mentre si lasciava alle spalle la A1, si chiese perché Federica non rispondesse da due giorni ai messaggi. Le nuvole, grigie e basse, intimorivano quasi quanto il manuale di Diritto privato che faceva capolino dalla borsa sul sedile anteriore. Lei e Federica avevano fatto amicizia quasi subito, nei loro primi giorni di matricole presso La Sapienza. Le aveva detto di non preoccuparsi per l’esame. Di portarsi il manuale in spiaggia, come facevano tutti. Ad Antonella pareva che l’amica la facesse troppo semplice. Controllò di nuovo il cellulare. Aveva visualizzato i messaggi, senza rispondere.

Verso Monopoli sua madre chiamò.

“A che punto sei?”

“Quasi arrivata.”

“Ti ho fatto le melanzane ripiene.”

“La tua risposta al mio annuncio: ‘Sono a dieta.”

“Fa’ attenzione. Occhi sulla strada.”

Antonella premette il tasto del volante che chiudeva la chiamata. Sembrava che Ostuni sarebbe stata bagnata da un bel temporale. Meglio così, avrebbe studiato al fresco.

 

«Dov’è papà?»

«In moto.»

«Sempre in moto» rispose Antonella, trascinandosi le borse in soggiorno. Si massaggiò il collo. Le melanzane ripiene, dopo sei ore di viaggio, in effetti, facevano gola.

«Non è che ha l’amante?» chiese, servendosi dalla dispensa. La madre stava lavando dei piatti.

«Anche se ne avesse una, le preferirebbe quella stupida moto.»

«Crisi di mezz’età» rispose Antonella, sedendosi a tavola. «Brutta faccenda.»

«Come sono le melanzane?»

«Al solito.»

«Non hai dato nemmeno un bacio alla mamma.»

Antonella sorrise. Portò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio.

Poi, in stanza, vide che Federica non aveva ancora risposto. Si chiese che stesse facendo. Non è che fosse chissà quanto studiosa. Dopo la doccia, aprì il manuale di Diritto privato sulla scrivania beige, quella dove aveva conseguito la maturità classica con cento e lode. Ben presto, però, i righi del manuale si confusero, come una striscia di formiche dispettose, ai suoi occhi. Si chiese cosa le stesse capitando. Non aveva mai avuto problemi nello studio. Inoltre, si era riproposta di non lasciarsi appelli a settembre; eppure, gli esami erano lì, a incombere sulla sua estate.

Controllò… sessantatré giorni all’appello. Rassegnata, chiuse il libro, poi lo aprì, lesse qualche pagina e, infine, stesa supina sul letto, guardò il soffitto. S’assopì.

Al risveglio (sentiva il retrogusto vagamente rancido della passata di pomodoro e delle melanzane fritte) vide che Federica non aveva risposto. Decise di farsi in giro.

In casa non c’era nessuno da salutare. Il padre ancora fuori in moto, probabilmente in spiaggia al Pilone a contarsi i fatti con qualche compare, fra una Corona gelida e la vista del romantico orizzonte del mare. La madre fuori con le amiche, o a fare compere per la sera.

Il temporale tardava ad arrivare, ma le nuvole erano sempre più dense. Uscire forse non era stata una grande idea… uno spruzzo di pioggia… al limite, avrebbe trovato riparo sotto un balcone… si chiese come avrebbe fatto il padre, con la moto. Però la pioggia grossa non arrivava. Dopo pochi minuti di cammino fu in piazza della Libertà. Pensò a Roma, alle serate estive trascorse coi nuovi amici, a bere cocktail e parlare del loro futuro. Si chiese se Federica fosse sua amica. A volte, aveva il sospetto che la frequentasse soltanto perché lei aveva l’auto e potevano andare nei posti più carini. Studiava lingue, ma non era portata. Antonella, con le sue conoscenze da liceale, parlava molto meglio l’inglese.

Avvertì una mano sulle spalle. Trasalì, ma il vocione era rassicurante.

«Antonella Anglani. Di ritorno dai successi romani, senza dubbio.

Si girò. Sorrise. Sandro, così grande e alto, coi lineamenti tanto marcati. Quando aveva… quindici anni? Quattordici? Sì, aveva avuto una cotta per lui, ma era passata da tempo. Ora, le faceva piacere vederlo. Ostuni, un posto sempre pieno di volti amici.

«Successi…» rispose. Voleva dire: mica tanto. «Faccio del mio meglio» concluse, con un sorriso.

«Non ne dubito» rispose Sandro. «Ti posso offrire un gelato?»

«Volentieri.»

L’amico indossava pantaloni beige e una camicia bianca, belle scarpe. Antonella sapeva che stava andando bene. Che lavorava con la ditta di famiglia. Anche lui studiava giurisprudenza, a Bari, e, per quanto poteva saperne lei (queste cose si sanno sempre) era in perfetta regola con gli esami e aveva quasi concluso.

«Belli i mocassini» disse la ragazza, quando furono seduti a un tavolino della piazza, sotto l’ombrellone. Cadeva qualche goccia.

Sandro sorrise.

«Ti sei trovata il fidanzato?»

«Ah-ah. No, e penso che non accadrà mai. Ho troppo da studiare.»

«Esci, ogni tanto.»

Antonella arrossì. Avrebbe dovuto dire che lo faceva, eccome, ma preferiva mantenere la reputazione di brava ragazza, ligia, studiosa. Pensò alle uscite con Federica. Forse i suoi non avrebbero dovuto regalarle quell’auto, per la maturità.

«Che si dice in paese?» chiese, per cambiare discorso.

Sandro sorrise. La conversazione si faceva golosa.

«Luigi e Azzurra stanno insieme.»

«Chi?»

«Luigi Tagliente e…»

«Sì, so chi sono, ma non ci credevo. Non l’avrei mai detto. Quei due sono come il giorno e la notte.»

«In effetti eravamo tutti molto sorpresi, ma ora fanno coppia fissa.»

«Che combinano?»

«Lui ha messo su una ditta di noleggio di calessini elettrici. Lei lo aiuta.»

«Ma dai? Pensavo Azzurra avesse aspirazioni artistiche.»

«Al contrario, ora è molto inquadrata. Però facciamo ancora teatro insieme. Fra tre giorni abbiamo uno spettacolo, perché non vieni?»

«Non mancherò. Tu sei un attore bravissimo.»

«Anche tu eri brava. Peccato che quest’anno non eri con noi. C’era una parte perfetta per te.»

«Purtroppo…» stava rispondendo… ma sì, cosa avrebbe potuto rispondere? Che aveva preferito Roma a Ostuni? Che era più ambiziosa di loro, e non s’accontentava di restare a lavorare lì, con la famiglia?

Eppure, tutti quanti loro erano già belli che sistenati, mentre lei aveva ancora la carta di credito con, in rilievo, il nome del padre.

«La compagnia non è la stessa senza di te» continuò Sandro. «Ci facevi sempre morire dal ridere.»

«Chi, io?»

«Sì, certo.»

Ad Antonella non sembrava che la sua presenza al mondo avesse poi molta importanza. Non sapeva di avere humour.

«Però le persone come te… insomma, lo sappiamo» disse Sandro. «Sono destinate ad altre cose.»

Il cameriere arrivò con due affogati al caffè. Antonella sorrise, e prese la carta di credito, ma Sandro fu più lesto.

«Sei una studentessa» disse, con fare vagamente paternalistico. «Lascia fare a me.»

«Va bene…» ripose Antonella, incerta, affondando il cucchiaio nel gelato.

Quindi chiese, un po’ trafelata:

«Com’è l’esame di Diritto privato a Bari?»

Quando lasciò Sandro, si sentì confusa. Luigi e Azzurra che stavano insieme. La loro vita che procedeva regolare, mentre lei, quando pensava al suo anno da matricola, sentiva stringersi lo stomaco. Infine, gli aveva confessato che doveva ancora dare Diritto privato. Sandro, con un modo di fare che aveva anche dei sottintesi, le aveva detto che a Bari non aveva avuto grandi difficoltà. Antonella si era chiesta perché non riuscisse a tenersi nulla dentro. Era tornata a casa, fradicia di pioggia, ma, per fortuna, non c’erano i genitori a rimproverarla.

Dopo un po’ di incertezza, prese il libro di privato e lo portò in cucina. Lesse e scrisse un poco, quindi mangiò un’altra melanzana e si piazzò di fronte al televisore, attendendo che quel giorno balordo finisse. Quando viaggiava, era sempre così. Una giornata persa.

Sentì suo padre rientrare (aveva poggiato il casco sul pavimento) per poi andare di sopra a cambiarsi. Lei riempì una ciotola di taralli, poi un’altra di arachidi e una d’olive. Riempì un bicchiere di birra e attese sorniona sul divano del soggiorno, chiedendosi se avrebbe avuto il coraggio di ammettere il suo fallimento (il padre era dottore commercialista, l’esame di diritto privato l’aveva sostenuto) e il piano che andava nascendo dentro di sé.

Infine, il papà si affacciò alla porta. Snello, sopra il metro e ottanta, bei capelli sale e pepe, abbronzato. Un professionista del sud mediamente epicureo, ma che non le aveva mai fatto mancare nulla e, anzi, le aveva dato anche più del necessario.

«Stai pensando di trasferirti a Bari» disse, afferrando la birra e dandole un bacio.

«Come fai a saperlo?» chiese Antonella, sorpresa.

«Io e tua madre ci accorgiamo di tutto, da come parli al telefono. Sei depressa e confusa. Inoltre, non è da te restare indietro con gli esami.»

«Penso che la mia migliore amica mi sfrutti.»

«Allora non è la tua migliore amica» rispose il padre, con la sua birra e il tris, sedendosi al divano, di fronte al televisore. «Forse, non è tua amica affatto.»

Grossomodo, si erano già detti tutto. Lei rimase a guardare la televisione, quindi decise di andare in stanza, non perché avesse altro da fare, ma per meditare.

Pensò alla solidità dei volti degli amici di teatro, quelli con cui era cresciuta, anziché quelli romani, che passano rapidi, confondendosi come in un caleidoscopio. Pensò a Sandro, col suo vocione, e al suo fare da galantuomo. Pensò a quello che avrebbero pensato tutti, che a Roma aveva fallito. Lei voleva lavorare in un grande studio. Dedicarsi alla difesa dei diritti umani. Cosa sarebbe successo, se avesse ricominciato a vivacchiare in quel sud, mediamente epicureo e noncurante del futuro?

Quando s’affacciò alla finestra, dopo la pioggia, notò che quella sera, fra le stelle e la luna, mancava un pezzo di cielo.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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