Dal gennaio del 2016 in Italia sono disponibili i PIR, una delle grosse novità finanziarie dell’ultimo decennio, ugualmente un fenomeno commerciale di grande rilevanza. I Piani Individuali di Risparmio oggi, secondo i dati presentati da Assogestioni all’ultimo Salone del Risparmio, sono stati sottoscritti da oltre 800mila risparmiatori, mentre in 500mila sono alla loro prima esperienza con i fondi comuni. Che obiettivo hanno i PIR?
I PIR sono mezzi che indirizzano il risparmio nei confronti delle piccole e medie imprese italiane, con l’obiettivo primario di stimolare l’economia nazionale, secondo i modelli di altri paesi europei, dove già sono in vigore prodotti affini. Altro non si tratta che di contenitori giuridici che possono assumere forme varie e contenere, al loro interno, diversi prodotti finanziari: come le azioni, le obbligazioni o gli ETF. Ma per far sì che ciò avvenga vanno rispettate alcune limitazioni previste dalla legge: su tutte quella che obbliga ad investire almeno il 70% del capitale in aziende aventi sede in Italia, il 30% della quota in strumenti ammessi da aziende non quotate nell’indice FTSE MIB di Borsa Italiana e che la quota investita su un singolo emittente non superi il 10% del totale. Si tratta di una misura destinata soltanto, esclusivamente alle persone fisiche per investimenti effettuati fuori dall’esercizio di impresa. La soglia minima da investire è di 500 euro, la massima, annuale, è di 30.000. Per imprese o aziende è letteralmente impossibile stipulare PIR.
Scegliendo un investimento in PIR si scelgono indubbi vantaggi dal punto di vista fiscale: viene meno il pagamento dell’imposta del 26% sul capital gain, insieme all’imposta di successione, agevolazione da sempre riservata solo ai titoli di debito pubblico e alle polizze vita. L’Italia, peraltro, è un caso unico in tutto il panorama europeo: coi PIR infatti il legislatore offre uno sconto di incentivo ai risparmiatori nell’ottica di investimenti a lungo termine. In tutta Europa esistono strumenti di questo tipo, come abbiamo detto, ma solo in Italia lo sconto fiscale si applica ad una condizione, e cioè che i risparmi siano investiti con vincoli stringenti. Lo sconto, inoltre, viene meno in caso di un disinvestimento anticipato: dunque, va da sé che scegliere un investimento nel lungo termine sia una scelta premiante, ma il vincolo del risparmiatore ad una strategia predeterminata può essere un disincentivo.
Da considerare ci sono anche i costi: i PIR hanno costi elevati di gestione, molto di più rispetto ai fondi tradizionali e tali da poter assorbire con certezza parte del guadagno legato all’esenzione fiscale. Secondo stime recenti, infatti, il costo totale di gestione, con un’ipotesi di sovrarendimento del 5%, è del 3,07% su un investimento lungo tre anni, e del 2,74% su cinque anni.
Logico varare anche delle alternative ai pur validi PIR. Tra queste non vanno escluse né la diversificazione geografica né l’efficienza degli Etf, forse il modo migliore per proteggere un risparmio e portarlo a crescere nel tempo a differenza dei PIR, i cui costi possono finanche vanificare del tutto, nel medio periodo, quanto investito. Un altro aspetto fondamentale per l’investitore è, con questi mezzi, quello di poter mantenere il controllo del proprio patrimonio senza correre il rischio di incorrere in alcuna penalità.