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Ostuni
Agosto 12 2025

In barca

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La polo era di marca. Non poteva permettersela per davvero, ma pensava di non avere molta scelta.

«Ti sta d’incanto» disse la commessa, mentre Chiara si rimirava nello specchio.

«Pensavo di indossarla su un gonnellino. O dei jeans attillati. Che ne pensi?»

«Beata te, che ti puoi permettere di indossare quel che ti pare. Vuoi vedere i jeans?»

Ci pensò su. Le piacevano quelli bianchi, alla moda, che mostravano la caviglia. Lei non ne aveva così. Decise però di farsi bastare la polo. Per il resto, avrebbe arrangiato.

«Contanti o carta?»

«Carta» rispose Chiara, aprendo il portafogli. Sospirò, cercando di non pensare alla cifra del conto corrente che scendeva in modo vertiginoso. Uscendo dal negozio, con la busta, si sentì però in qualche modo felice. Pensò che avrebbe coronato quell’inusuale mattinata di shopping con un espressino e un cornetto al bar di fronte. La commessa la aveva fatta sentire bella. E poi, c’era la possibilità, per quanto remota, che entro la fine del mese le liquidassero il suo ultimo lavoro.

«Com’è fare la web designer?»

«Non è male, se sei una di quelle persone a cui non piacciono i soldi.»

Tutti risero. La battuta era collaudata. Marco, seduto in fondo alla cabina della barca, stava sorseggiando il suo spumante. Ogni tanto le lanciava uno sguardo. Con la polo e i jeans attillati, si diceva Chiara, faceva la sua figura. Lui, comunque, sembrava contento. Di poterla, cioè, sfoggiare con gli amici.

«È il problema dei liberi professionisti» disse un amico della festeggiata, una ragazza che si era laureata in giurisprudenza. «Clienti morosi.»

«Penso sia un problema del mio particolare settore» rispose Chiara, sentendosi un po’ più a suo agio, dal momento che la platea sembrava ben disposta nei suoi confronti. «Per qualche motivo, credono che noi grafici dobbiamo sempre lavorare gratis.»

«Non credono sia un vero lavoro» disse un altro, uno con gli occhialini e una massa di capelli ricci, tagliandosi una fetta di torta.

«No» rispose lei, semplicemente, mentre guardava nel suo flûte.

«Certo» continuò il ragazzo «d’altra parte, come potrebbe la civiltà andare avanti, senza la preziosa opera di chi fa i disegnini al computer?»

Tutti risero. Anche lei. Arrossì. Capì che la prendevano in giro. Gli amici di Marco erano medici, avvocati, imprenditori locali. Lei era (si credeva) un’artista. Nessuno la prendeva sul serio, nonostante si sforzasse di mostrare noncuranza e autoironia. Decise di aspettare un attimo, perché non fosse troppo evidente, per poi andare a riversare gli occhi in mare, finché fosse passata l’umiliazione che stava provando. Forse Marco avrebbe capito. Sarebbe andato a consolarla. Ma anche lui aveva riso a quella battuta di quel suo amico, che, le pareva, era un ginecologo.

Mentre era affacciata all’acqua, e si faceva più meditativa, arrivò la festeggiata, cioè la proprietaria della barca, con altri due bicchieri di spumante.

«Non dovrei ubriacarmi» disse Chiara. «Domani ho da lavorare.»

«Io pensavo di prendermi una settimana» rispose la neolaureata, affacciandosi, anche lei, sul mar Mediterraneo. Era una giornata serena, non troppo calda, l’ideale per un piccolo ritrovo sull’imbarcazione di famiglia.

«Dopo che farai?» chiese Chiara.

«Andrò in città. Come tutti. Tu perché sei ancora qui?»

«Temo di non farcela. E poi, non ho connessioni.»

«Se ti serve un posto per dormire te lo troviamo.»

«Grazie. Sei gentile. Noi non ci conosciamo veramente. Ma, non credo che lo farò. La verità è che qui sto bene» rispose, chiedendosi se fosse vero. «E poi, c’è Marco.»

Il suo fidanzato era un possidente. La famiglia aveva parecchia terra, e lui aiutava i genitori nell’azienda agricola, cercando di portare, come è normale per i giovani, qualche innovazione. Era un bravo ragazzo. Schietto, allegro. Stavano bene insieme. Il discorso che aleggiava intorno a Chiara era che si sarebbe stancata ben presto del suo lavoro mal pagato e vagamente donchisciottesco e sarebbe diventata la moglie di Marco. Ma lei sentiva di non volersi arrendere. Che voleva altro per sé. Voleva riuscire. Ma, forse, per farlo, sarebbe dovuta andare in città, come facevano tutti.

«Come ti sei ritrovata a fare siti web?»

«Quando ho preso la laurea dicevano che nel campo c’era molto lavoro. Non è così vero, ma ormai ho fatto questa scelta. Programmare, comunque, mi rilassa. E mi piace studiare soluzioni grafiche innovative. Mi sono specializzata con una tesi sul rapporto fra gli accostamenti di colore e gli stati emotivi. Vedi» continuò, prendendo il suo grande smartphone «questo è un sito che ho disegnato per una casa di riposo.»

Le diede il cellulare.

«Hai ragione. Trasmette quiete. Serenità.»

«So che non curo le persone, o cose così. Cose importanti, insomma» disse Chiara, deglutendo «però il mio lavoro mi piace. A volte mi sento come se gli altri pensassero che non ho diritto a esistere.»

La festeggiata finì il suo spumante. Ci pensò su qualche istante. Disse:

«Senti, forse sono ubriaca, o forse, poiché oggi è la mia festa, mi sento in diritto di dire tutto quello che mi passa per la testa. Ti dirò questo: non devi fare caso a quello che le persone pensano o dicono di te, perché nessuno veramente pensa a te. Abbiamo tutti le nostre vite da portare avanti. Non sei affar nostro. Tu sei la sola responsabile della tua esistenza. Fammi sapere, se vuoi essere ospitata in città.»

«Grazie» rispose Chiara, ma le veniva un po’ da piangere.

«Molto bellina la polo» concluse la neolaureata, toccando il colletto, per poi tornare dentro dagli amici.

Chiara rimase ancora lì, sentendosi ulteriormente umiliata. Come spesso accade alle persone infelici, si consolò col democratico spettacolo del sole che s’abbassava sull’orizzonte.

«Ti ho lasciato la pasta al forno» disse la madre.

«Sono venuta solo per cambiarmi.»

«Hai cenato?»

«Sì» rispose la ragazza, mentre riponeva sulla sedia quella preziosa polo, che sarebbe potuta servire ancora in futuro, e si metteva a suo agio in qualcosa di più comodo. A Marco non era bastata la giornata in barca. Voleva sempre uscire, fare cose. Diceva che sarebbero stati giovani una volta sola.

«Di’ a Marco di venire a salutare.»

«Non posso. Andiamo di fretta» disse Chiara, scendendo le scale.

«Non sale mai.»

«Non è vero» disse la ragazza, infilando le scarpe da ginnastica bianche.

Marco era in auto, la aspettava in doppia fila.

«Sono ubriaca» annunciò Chiara, quando fu di nuovo da lui.

«Quante storie. Per un paio di bicchieri di spumante.»

«Diciamo anche quattro o cinque. Dove andiamo?»

«Da amici. In campagna.»

«Un’altra festa?»

«Amici in campagna.»

«Amici che conosco?»

«Alcuni li conosci.»

«A te importa di me?»

«Certo.»

«Non me lo dimostri.»

«Ti porto alle feste. Ti faccio conoscere tante persone. È il mio modo di prendermi cura di te.»

«Io penso d’aver bisogno d’altro…» disse la ragazza, guardando fuori dal finestrino. La sera, prima di addormentarsi, leggeva qualche pagina di un libro. Narrativa, poesia. Qualcosa che la portasse su altri mondi.

Marco la guardò. Sornione. Era innamorato di lei, forse anche perché aveva un carattere complesso. Voleva, in qualche modo, sbrogliarlo.

«Un giorno mi sarai grata.»

«Di cosa?»

«Del fatto che ti faccio divertire. Che ti porto alle feste.»

«Io non mi sto divertendo più di tanto» rispose Chiara. Pensava che accompagnare Marco fosse più il dovere di una brava fidanzata. A volte le pareva che la vita reale fosse il lavoro, accostare i colori delle sue pagine web perché trasmettessero la sensazione di un tramonto, e poi leggere libri, quando era stanca, al paralume che aveva da quando era piccola.

«Un giorno mi sarai grata» ripeté il fidanzato, mentre imboccavano la strada provinciale. Il mondo, in qualche modo, continuava a schiudersi a loro.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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