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Ostuni
Novembre 20 2024

La bellezza

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Aveva i capelli corti, fini e neri. Un incarnato bianco e grandi occhi scuri. Non dimostrava più di venticinque anni. La vide in fila al supermercato, dove comprava un sacchetto di pesche bianche.

L’uomo non aveva mai fatto nulla del genere. Non pensava di essere quel tipo di persona. La seguì, a debita distanza, lungo le vie del centro. La ragazza entrò nel portone d’un palazzo. Sul citofono, c’era la targhetta della scuola di danza. L’uomo pensò che potesse essere un’istruttrice; indossava fuseaux neri e scarpe basse.

«Hai preso i petti di pollo?»

«Cosa?»

«I petti di pollo. Li hai presi?»

«Non so. Non ricordo» rispose l’uomo, poggiando la spesa sul tavolo della cucina.

«Come fai a non ricordare?»

«No, non li ho presi.»

«Erano in offerta.»

«Mi sono dimenticato.»

La moglie si passò i polpastrelli nelle occhiaie.

«Erano in offerta. Ti avevo detto di prenderli stamane.»

«Ho preso il merluzzo.»

«Il merluzzo non era in offerta.»

«Mi spiace.»

«Ti spiace, certo.»

La donna prese la borsa e il soprabito.

«Dove vai?»

«Al supermarket.»

Lasciò la casa sbattendo la porta. L’uomo si poggiò al divano, non sapendo bene che pensare. S’illudeva fosse un periodo. Sì, ma da quando quel periodo durava? Non ricordava più quando, nel loro matrimonio, non era stato così. Pochi sprazzi di gioia fra tanti giorni di malumore.

Intanto il volto di quella ragazza continuava a tormentarlo. Cosa gli era preso? Un uomo sposato che s’interessava a una donna più giovane. Pensava di non essere così. Cercò sul cellulare il numero di telefono di quella scuola di danza. Telefonò.

«Sì?»

«Parlo con l’istruttrice?»

«Sono io.»

Avvertì che il cuore perdeva un colpo.

«Vorrei iscrivere mia figlia.»

«Le iscrizioni sono chiuse fino a settembre.»

«Vorrei parlare con voi. In vista di settembre.»

«Può passare domani, se vuole. Bisogna fare una tessera associativa. Quella può farla subito, se vuole.»

«Va bene.»

«Servono due foto-tessera.»

«Certo.»

L’uomo chiuse la telefonata. Si dedicò a sistemare il resto della spesa fra la dispensa e il frigorifero.

Il giorno seguente, dopo il lavoro, andò alla scuola di danza. Salendo le scale, sentì una musica incantevole. Gli pareva di ricordare che provenisse da un balletto russo.

Anche la donna che aprì la porta era molto bella, ma aveva la sua stessa età.

«Lei è qui per?»

«Fare la tessera associativa. Per mia figlia. Ho parlato al telefono con lei o qualcun’altra.»

«Mi segua.»

Musica. Rumore di passi di danza dall’altra stanza. Vide, forse, il volto della ragazza dai capelli neri riflesso nei vetri della palestra, o forse non era lei.

Andarono nell’ufficio. I lineamenti della signora erano marcati. Aveva occhi azzurri e capelli biondi pettinati all’indietro. Aveva un aspetto fuori moda.

«Settembre è distante» disse la donna.

«Mi piace la vostra scuola.»

«Come ci ha conosciuti?»

«Ho trovato un volantino.»

«Non ne facciamo.»

«No, infatti. Mia figlia mi ha chiesto di iscriversi. Ne ha sentito parlare da un’amica.»

«Perché sua figlia non è con lei?»

L’uomo si portò la mano sulla fronte. Farfugliò qualcosa, poi disse:

«Mi perdoni. Ho commesso qualcosa di stupido.»

«Non capisco.»

«Non ho alcuna figlia.»

«Perché è qui?»

La giovane istruttrice di danza s’affacciò alla porta della segreteria. Prese una bottiglia d’acqua da un piccolo frigo. Sorseggiò dalla bottiglia e tornò dalle allieve. Lui non resistette dal girarsi per guardarla.

«Capisco» disse la donna. «Lei è interessato in donne troppo giovani per lei. Raramente funziona, nonostante quel che si vede nei film.»

«Non so che mi è preso.»

«Una sbandata. Può capitare. Lasci perdere mia figlia, non è per lei.»

«Mi spiace. Mi sento confuso.»

«Non si preoccupi. Prima delle ferie estive siamo tutti stanchi e confusi.»

L’uomo vide il paio di scarpe ballerina nera appese vicino alle targhe argentee dei premi dei saggi di danza. In quello scorcio comprese tutto, delle due donne che conducevano la palestra: il talento, il sacrificio, il duro tentativo di condurre una vita artistica in una città di provincia. Il dovere della bellezza. Lasciò quella scuola di danza deciso a non tornare più. Lui lì non apparteneva.

«Dove sei stato?» chiese la moglie, entrando in casa.

«In palestra» rispose l’uomo, spegnendo il televisore.

«Stasera ti cucino i petti di pollo. Li faccio col limone, come piacciono a te.»

«Grazie.»

«Stai pensando di iscriverti in palestra?»

«Sì.»

«Dovresti. Ti farebbe bene.»

«Dici?»

«Sei sempre di cattivo umore.»

La donna cucinò i petti di pollo in padella. Nonostante avessero la cappa, l’odore si spanse dalla cucina in soggiorno, risvegliando il suo appetito. Pensava di non avere fame.

Si poggiò all’entrata della cucina. Sua moglie non era bella e non curava molto l’aspetto. Oltre a quello, si chiedeva cosa non andasse in lei. Lei aveva ragione, doveva badare maggiormente alle economie domestiche. Era sempre distratto, trascurato, di cattivo umore. Prendere i petti di pollo in offerta. Andare a mettere benzina dove costava di meno. Di quelle cose litigavano. Per il resto, cosa non andava, per davvero, nel loro matrimonio? Decise di adattarsi a lei. Forse era per colpa sua, se le cose andavano male.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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