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Dicembre 14 2024

La Città bianca nel calice di Angelo Turi, sommelier ostunese a Londra

39 anni, ostunese in trasferta, esperto di vino: Angelo Turi da Londra disegna itinerari di viaggio personalizzati, focalizzando l’attenzione su “wine and food”

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Angelo Turi è un sommelier ostunese che vive a Londra da circa 3 anni e ha trovato il suo sbocco professionale nel campo del turismo: lavora per un tour operator di alta gamma che organizza wine and food tour in Italia ed Europa meridionale. Dal Portogallo alla Slovenia, dalla Croazia al Marocco, fino alla Francia: Angelo Turi è il tour leader di questi viaggi che gli consentono di accedere a esperienze esclusive, quali visitare cantine solitamente chiuse al pubblico, soggiornare in alberghi per testarne la qualità e/o la compatibilità con la sua clientela, mangiare in ristoranti stellati. Ad accompagnarci in questa intervista, il vino.

 

Ha un calice in mano: chi è Angelo Turi?

«Ho studiato Scienze della Comunicazione a Torino per fare il giornalista, poi sulla base delle prime esperienze lavorative ho realizzato che questo ruolo in Italia non è valutato, rispettato, né retribuito adeguatamente e ho quindi cercato di sviluppare altre passioni oltre alla scrittura: prima specializzandomi in marketing sportivo e lavorandoci per 4 anni, poi nel vino, adesso nei viaggi legati al vino e non solo. A questi cambi di carriera sono succeduti tanti cambi di residenza: dopo Torino, Roma, Parma, Amsterdam, poi un rientro a Ostuni durato tre anni e adesso Londra. La terra d’origine l’ho lasciata più per necessità che per scelta, ma allontanarsi credo sia fondamentale per comprendere il mondo e le sue mille sfaccettature. Non siamo alberi e osservare la realtà sempre dallo stesso posto a lungo andare ci chiude la mente, ci rende schiavi delle abitudini e ci spaventa appena quelle abitudini vengono messe in discussione da qualcuno o qualcosa. Per cui, che si rientri o meno, è importante partire».

Come nasce la sua passione per il vino e, soprattutto, cosa vi dite quando vi parlate?

«La mia passione per il vino nasce in Emilia per curiosità: su suggerimento di una collega decisi di iscrivermi al corso da Sommelier dell’AIS Parma. Era il 2009 e come molti ero affascinato dalle descrizioni fatte dagli esperti di vino e volevo essere in grado di capire perché un vino è migliore o più costoso di un altro. Quello fra uomo e vino non è un dialogo, ma un monologo. Se rispondessimo al vino significherebbe che abbiamo esagerato con la degustazione! Alcuni vini urlano alle papille gustative, cercano disperatamente la nostra attenzione come una persona avvolta in un cappotto giallo e provano a conquistare il gusto con la forza. Altri sussurrano e ci lasciano parlare col nostro interlocutore, restano sullo sfondo per chi li sa notare. Tutti parlano, sta alle nostre preferenze capire di volta in volta quale vino è più adatto alla situazione».

Cosa le piace del suo lavoro?

«Del settore turistico mi piace il fatto che sia impossibile prevedere cosa accadrà nel futuro prossimo: nella preparazione e nello svolgimento di un tour, qualsiasi cosa può andare storta, da un hotel che chiude i battenti senza preavviso al ponte Morandi che collassa; le giornate degli operatori turistici sono sempre imprevedibili. Del settore del vino invece adoro le persone, chi ha la sensibilità di capire il vino di solito riverbera la stessa sensibilità attorno a sé nei comportamenti quotidiani. È una generalizzazione, ma ho incontrato tantissime belle persone nel settore».

In che termini parlerebbe del suo rapporto con Ostuni?

«Il mio rapporto con la terra d’origine è una relazione simile a quella che si può avere con un familiare: non l’abbiamo potuto scegliere, ma l’affetto è incondizionato. Lo rivediamo ogni anno durante le feste, conosciamo a menadito i suoi pregi e difetti e siamo tendenzialmente in grado di prevedere i suoi modelli di comportamento. In tutta onestà, Ostuni mi ha dato poco finora, soprattutto rispetto a quanto le abbia dato io. Come tutta l’Italia, è un luogo dove i giovani devono essere vecchi dentro per avere successo. Adesso che giovane non lo sono più, magari mi darà più soddisfazioni».

Pensa che la sua professione la porterà, un giorno, a tornare nella sua terra d’origine?

«Mai dire mai. In passato ho vissuto male tante partenze nella speranza di ritornare a Ostuni ma al momento non vorrei fare a meno della realtà e delle possibilità che mi offre Londra e non vedo un ritorno all’orizzonte. Tuttavia, sono consapevole che la vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare piani per la vita quindi… chi lo sa»?

Qual è stato il contest enologico più importante al quale ha partecipato?

«Sicuramente l’International Wine and Spirit competition qui a Londra, nel quale dall’anno scorso ho avuto l’onore di far parte della giuria. È stato molto bello mettere alla prova il mio palato con quello di vari Master of Wine, la qualifica più elevata al mondo, al comando della giuria e molto spesso aperti alle osservazioni degli ultimi arrivati come me. Assaggiare e giudicare 60 vini in una mattinata non è stato facile, ma conosco lavori decisamente peggiori».

Qual è stata la prima cantina che ha visitato e quali emozioni ha provato?

«Non ricordo esattamente quale sia la prima cantina visitata, ma probabilmente è successo nel corso di Cantine Aperte, a dimostrazione dell’importanza di manifestazioni di avvicinamento al vino. L’odore della barriccaia è ancora oggi uno dei miei preferiti in assoluto. Unito al silenzio, all’umidità di quei luoghi finisce sempre per conferire un certo misticismo, un’emozione legata alla “magia” del mosto che diventa vino».

Quale winemaker o produttore stima di più e perché?

«Impossibile limitarsi a un solo nome senza lasciare dei buchi enormi nel panorama di vini che sconfinano negli affetti. Mi piacciono quei produttori che, indipendentemente dall’uso di tecniche e tecnologie avanzate o tradizionali, restano fedeli al prodotto e al territorio. Penso al professor Luigi Moio che con i suoi studi e i suoi vini a marchio Quintodecimo sta portando l’enologia campana e italiana a un livello successivo; penso a Jean-Noel Gagnard nel villaggio di Chassagne-Montrachet, cuore della Borgogna dello Chardonnay che fa marmellate in casa, mentre sua moglie lavora in vigna sul trattore; penso alla famiglia Rapuzzi, friulani di Ronchi di Cialla, che accoglie personalmente ogni visitatore in casa perché quella è la cantina e loro sono il personale. La cosa più bella del vino è scoprire quante storie, quanta storia, c’è dietro una bottiglia».

A cosa serve e/o serviva il “medaglione” che pende al collo dei sommelier?

«Il tastevin serviva ad analizzare il vino dopo aver aperto una bottiglia, soprattutto se particolarmente antica. Per ragioni d’igiene e di etichetta è ormai in pensione da un bel po’ e ha trovato nuova vita a livello simbolico: il tastevin con collare viene infatti donato a tutti coloro che superano l’esame da sommelier e fa parte delle dotazioni della divisa ufficiale».

Per concludere, si trova a cena con un pugliese che non ama il vino: con quale abbinamento enogastronomico lo convincerebbe?

«Piatto di purea di fave con cicorie selvatiche e Moscato secco in abbinamento, ne produciamo tanti in Puglia, soprattutto nel nord barese. L’aromaticità del Moscato entra in gioco a spegnere il gusto amaro della cicoria, appena quest’ultimo inizia a diventare eccessivo. Il miglior modo per godersi le nostre amate “fave e foglie”».

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Angelica Andriola
Angelica Andriola
Pugliese d'origine, modenese di adozione. Introversa e grande osservatrice. Diversa. I libri sono la sua grande passione e la lettura è stata lo strumento con cui ha vinto la balbuzie. Ha sempre penna e taccuino in borsa... Lei scrive, scrive ovunque, scrive per sé e anche per voi.
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