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Ostuni
Ottobre 19 2024

La pianista

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«È una storia apocrifa.»

«Cosa?»

«La storia che ha riportato nel suo libro. È apocrifa, non è vera.»

«A quale storia si riferisce?»

L’insegnante di musica prese dalla borsa il libro che, in teoria, l’autore avrebbe dovuto autografare. Cominciò a sfogliarlo, fino ad arrivare a una pagina avidamente sottolineata.

«Pagina ottantaquattro. Lei fa dire a Clara, la sua protagonista, che il conte Hermann Carl Von Keyserling abbia commissionato le Variazioni Goldberg a Bach come cura per l’insonnia, e che queste fossero suonate la sera dal giovane pianista del conte, il ragazzo Goldberg del titolo dell’opera. È una storia apocrifa, presente soltanto in una fonte notoriamente poco accurata come il Forkel. Lei dovrebbe controllare meglio quanto scrive»

«È un romanzo» si giustificò l’autore.

«E quindi?»

Lo scrittore aprì il libro e lesse: «Ogni riferimento a fatti, persone o avvenimenti esistenti…»

«Be’, il conte Von Keyserling era esistente, e anche Bach e il giovane Goldberg. Mi dica, lei cosa ha studiato?»

«Lettere e filosofia.»

«Bene, s’attenga a quello che sa, allora» disse la pianista. Mollò la sua copia (non autografata) sul banchetto, davanti all’autore, girò i tacchi e via. Lasciò lo scrittore a giustificarsi con le altre persone in fila al firmacopie.

«Qui in paese è nota» disse il libraio, abbassandosi a parlare nell’orecchio dell’autore. «È una zitella un po’ suonata. Lasci stare.»

«Capisco…» disse lui, perplesso, in realtà ancora in imbarazzo per essere stato colto in fallo. Si dispiacque che la signora fosse andata via prima che potesse giustificarsi.

«Come fa a scrivere frasi tanto avvolgenti…» disse quella successiva, per fortuna una fan bendisposta.

 

L’insegnante di musica, in realtà, soffriva d’insonnia, e non poteva riuscire a dormire se non aveva suonato qualche nota di Bach, quasi sempre le Variazioni Goldberg. Si preparò una tisana, diede da mangiare al gatto e si sedette al pianoforte. Più di tutto, lei non poteva sopportare l’approssimazione e il dilettantismo. Le sembrava incredibile come gli scrittori se la cavassero con così poco, storielle dozzinali, personaggi sciatti, frasi senza forza. Lei stessa, in passato… sì, chi non sogna di esibirsi al Metropolitan di New York, quando s’iscrive a un conservatorio? Però conosceva i suoi limiti. Era un’insegnante di musica di paese. Tanto bastava. Non tutti siamo nati per ottenere grandi successi. Il gatto si strusciò lungo le sue caviglie mentre, come accadeva, accadrà e sta accadendo per innumerevoli volte lo spirito del grande compositore luterano Johann Sebastian Bach era evocato in quel salotto di un villino di periferia.

Ogni volta che finiva di suonare, però, si sentiva scossa. Si chiedeva se, dopo anni di esercizio quotidiano, di ferrea disciplina, fosse arrivata a un punto in cui poteva proporsi a qualche casa discografica per una discreta incisione delle Variazioni. Un sogno, poco più di un sogno. Però, a volte, ci sperava. Che le si spalancassero le porte di un vero studio di registrazione. Che l’album fosse ben ricevuto dalla critica. Inviti in radio, esibizioni di fronte a un pubblico prevalentemente non felino, mazzi di fiori. Tutto quello che aveva sempre sognato, ma che il destino le aveva sempre negato. Ma, ormai, arrivata alla sua età, si rendeva conto che tutto ciò era impossibile.

Naturalmente, a differenza di Clara, la protagonista del romanzo che aveva avuto la sfortuna di leggere, non era una rampolla di una famiglia di musicisti. Nessuno l’aveva messa a sei anni di fronte a un piano e le aveva detto: “suona.” Aveva cominciato troppo tardi, quella era la verità. Tutte le sue conoscenze se le era conquistate da sola, con la pura forza di volontà, e le erano bastate per diventare un’insegnante di qualche studente delle medie svogliato. Ogni tanto il sindaco la invitava ad esibirsi a uno degli eventi del paese. Tutti quanti (le diceva) erano convinti del suo talento. Ma lei voleva tutto o niente. Pigiare due tasti a qualche iniziativa di paese le sembrava un insulto alla musica. Nessuno, comunque, l’avrebbe compresa. A quelle orecchie poco educate, Bach non faceva troppa differenza rispetto alla musica commerciale in voga.

Mettendosi a letto, cercò con la mano sul comodino il romanzo. A ogni modo, doveva ancora finire di leggerlo, anche se conosceva già il destino di Clara. Avrebbe, come si dice, sfondato. Il finale, era prevedibile, sarebbe stato un trionfo d’amore e gloria. Gli scrittori fanno sempre tutto troppo facile. Non s’accorgono di com’è la vita reale.

Peccato che il libro fosse stato sprezzantemente lasciato sul banchetto. Si ripromise di comprarne un’altra copia. Si fece un rapido segno della croce e aspettò che il gatto, come al solito, la raggiungesse per dormire. Sperò che il sonno non arrivasse troppo tardi, anche se era il giorno successivo era domenica, e aveva solo da suonare. Già, “solo” da suonare.

 

Qui è l’autore del racconto che vi parla. Se sapessi produrre delle frasi di qualità paragonabile alla musica di Bach, ahimè, anch’io potrei esibirmi all’equivalente del “Metropolitan” degli scrittori. Provate a cercare questo grande musicista, se non lo conoscete, su un servizio di musica in streaming, e a far suonare qualche brano. Capirete.

 

La pianista s’alzò di buon mattino e, dopo aver letto il giornale e preparato il caffè, si sedette allo sgabello. Si chiese, al solito, se la sua postura fosse sufficientemente buona. A volte provava a suonare alzando leggermente le spalle, ma, dopo un po’, si stancava e le lasciava andare. Se si fosse esercitata al piano a partire dall’età di sei anni, come quell’insipida Clara del romanzo… ben presto però, come si addentrava in uno degli infiniti misteri della musica di Bach, il suo quasi costante risentimento lasciò spazio all’estasi. Un’opera d’arte, una vera opera d’arte, intendiamo, è tale quando può essere fruita ripetutamente senza che ci si stanchi di comprendere il suo mistero. Così era Bach per lei, e per ognuno dei suoi fortunati ascoltatori.

Qualche filisteo (lei, dentro di sé, divideva le persone fra “filistei,” che non comprendevano l’arte, quelli, come lei — i pochissimi) suonò al campanello. Chi poteva essere? Un venditore porta a porta, di domenica? Non aveva una vera vita sociale. Era in tutto e per tutto una persona casa e chiesa. Andò ad aprire di malumore, richiamata incongruamente dal suo servizio divino.

Era l’autore del romanzo.

«Ha dimenticato la sua copia al banchetto» disse, mostrandola. «Pensavo le facesse piacere riaverla.»

«Uff. Venga, le preparo un caffè. Lei non scrive tanto bene, ma almeno è una persona gentile.»

«Grazie e, sì mi rendo conto d’essere molto minore. Ho trovato utile la sua correzione.»

«Non è allergico al gatto, vero?»

«Per nulla.»

S’accomodarono in salotto.

«Mi hanno detto che lei è l’insegnante di musica del paese.»

«Non sono l’unica.»

«Dicono che lei sia anche una bravissima esecutrice, ma non si voglia esibire.»

«Come dice lei, anch’io mi rendo conto d’essere molto minore.»

«Le confesso che ho scoperto tardi la grande musica. Durante un periodo di malattia. Superavo il tedio e la preoccupazione ascoltando Wagner.»

«E, quando è guarito, si è affrettato subito a scrivere un libro.»

«Ho sbagliato.»

«Le sue conoscenze non erano approfondite a sufficienza. Tutto il libro è sbagliato, tutto.»

«Mi spiace sentirglielo dire.»

La donna si massaggiò l’incavo degli occhi coi polpastrelli.

«Per il grande pubblico va bene. Nessuno comprende veramente la musica.»

«Le confesso che io, privatamente, scrivo poesia.»

«È anche poeta?»

«No. Però a volte vorrei esserlo. Mi rendo conto dei miei limiti, come le dicevo.»

«Ne abbiamo tutti.»

«Va mai ai concerti?»

«A che servirebbe?» chiese lei.

«Mi piacerebbe sentirla suonare.»

«Bach?»

«Ho scoperto che amo molto Vivaldi.»

«Ho qualche partitura» disse lei, alzandosi, andando a rovistare nervosamente nella sua libreria.

«Sarebbe un privilegio, per me, sentirla suonare.»

«Perché?»

Lo scrittore sospirò.

«Sarò sincero. Credo che il mio successo sia immeritato, mentre le persone come lei dovrebbero avere miglior fortuna.»

«Devo ancora suonare. Come fa a saperlo?»

«Non importa.»

«Scriverà qualcosa su di me?» chiese la donna, voltandosi verso di lui, mordendosi le labbra, chiedendosi se lo volesse o meno. Un articolo su un giornale nazionale. Per comunicare a tutto il mondo che, in quell’angolo di provincia, una maestra delle medie suonava delle Variazioni Goldberg che potevano andare al Metropolitan di New York.

Ma, anche così, non avrebbe mai potuto sapere se era tutto vero, se era tutto vero quello che andava avanti nella sua testa, e se era vero quello che andava avanti nella testa di tutti quanti.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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