Carlo aveva tutte le fortune. Appena terminata l’università, un’azienda lo aveva contattato, poiché interessata al suo lavoro di ricerca. Contratto a tempo indeterminato e un impiego appassionante, a ventiquattro anni. Un collega, poco dopo, gli aveva presentato Francesca, insegnante di lettere e classica ragazza della porta accanto. Entrambi amavano i film di qualità, i mercatini dell’antiquariato e i tramonti lungo la spiaggia. Dopo pochi mesi, era più o meno nell’aria che si sarebbero presto sposati. Nel frattempo, si godevano il fiore della loro giovinezza, fra cenette romantiche al sushi e viaggi nelle capitali europee durante le ferie.
Francesca rise. Si trovavano nella villa comunale dove, un sabato ogni tre settimane, c’erano i venditori dell’antiquariato.
«Guarda questo» disse, prendendo il libro dalla bancarella. Aveva un aspetto anonimo, non era troppo voluminoso, non riportava il nome dell’autore e il titolo era a stampatello nero sulla copertina di tela color beige.
«La storia di Carlo» rispose il ragazzo, mentre sorrideva a sua volta e prendeva in mano il tomo.
«Sembra fatto apposta per te» disse Francesca, distraendosi per valutare una lampada in stile primo novecento.
Carlo sfogliò le pagine ingiallite e diede un paio di monete al brav’uomo della bancarella. Una volta al loro appartamento, poggiò il libro sul comodino e, grossomodo, si dimenticò di lui. Non era mai stato un grande amante della narrativa.
Ora… fin qui, sembra tutto rose e fiori per lui. Un bel lavoro, una fidanzata perfetta, nessuna nube all’orizzonte. Però, come tutti noi, Carlo viveva momenti in cui tutto sembrava fuori posto. Venti di guerra. Crimini. Ingiustizie sociali. Tutto questo creava in lui una voragine che il benessere materiale non poteva riempire. E poi: cosa c’è dopo questa vita? Perché dobbiamo distaccarci dalle persone care e da tutto ciò che maggiormente amiamo? Nessuno, nella storia, aveva mai dato una risposta veramente soddisfacente a questa domanda.
Una sera, mentre stavano guardando un film della Pixar, scoppiò in un pianto irrefrenabile.
«Mi spiace» disse Francesca, massaggiando il dorso della sua mano. «Questa parte è triste.»
«Non è il film» confessò il ragazzo. «Mi sento così da tanto.»
Francesca pose una mano sul suo petto, baciò la guancia, arruffò i bei capelli castani.
«Perché non mi dici come ti senti?»
«Tutto questo finirà. Le persone che amo se ne andranno. Io me ne andrò. Un giorno, non ci sarò più.»
«La vita è così. Dobbiamo goderci il momento che viviamo. Lottare per la felicità che possiamo afferrare giorno per giorno.»
«Questo non mi basta. Ci sono tante cose che non capisco. Di me stesso so solo che sono bravo a fare quello che faccio, e per questo la società mi ricompensa. Non so altro.»
Una crisi esistenziale. Francesca non sapeva come rispondere.
Dopo che lui fu andato sotto la doccia, la sua fidanzata girò per casa, in cerca di una soluzione. Vide quel libro, sul comodino: La storia di Carlo.
«Perché non provi con questo?» disse, mentre lui si asciugava i capelli, riflesso nella finestra della stanza.
«Lascia stare. Solo un momento di debolezza. Forse sono solo seccato al pensiero che domani devo scrivere quel rapporto.»
«Prova a leggere questo romanzo. Le storie ci aiutano a trovare un senso nelle nostre vite e a dare un nome a quello che proviamo.»
Carlo, lì per lì, non le diede retta, ma, quando lei si fu addormentata, accese la lampada sul comodino e prese a sfogliarlo.
La storia di Carlo… cominciava proprio dall’inizio, con un bambino che nasceva, in una bella mattinata di giugno. La madre è stanca, ma felice. Si chiama Benedetta. Che coincidenza, proprio come sua madre. S’intenerì, al pensiero di quanto quella donna aveva fatto per lui. La storia proseguiva. Un padre un po’ assente, dirigente di banca, proprio come il suo. Niente fratelli o sorelle, una tranquilla esistenza borghese, costellata di momenti di felicità e bellezza, che anche lui aveva vissuto ma di cui, al momento, non s’era reso conto. Una storia tanto simile alla sua, che l’anonimo scrittore sapeva rendere con mano felice: i primi passi, le prime parole, l’amorevole cura delle maestre d’asilo — quella volta che suo padre finalmente si era interessato a lui e, nel cortile della masseria dei nonni, gli aveva insegnato ad andare in bicicletta. Ricordava bene quel momento.
— Un attimo, era proprio quel frammento della sua esistenza, stampato su pagina. Com’era possibile?
Guardò l’orologio. Le due di notte. Se non si fosse addormentato, il giorno dopo, al lavoro, sarebbe stato di malumore e poco produttivo, e non poteva permetterselo, perché era pur sempre un neoassunto. Spense la lampada con un misto di rimpianto e stupore. Non aveva mai pensato che un romanzo potesse essere tanto interessante.
Inoltre, come era concepibile che la storia di quel Carlo fosse tanto simile alla sua? Era tentato di svegliare Francesca, per chiederle se tutto ciò non fosse un elaborato scherzo ai sui danni, ma non era verosimile.
Prese della valeriana e, finalmente, s’addormentò.
Al risveglio, vide che la sua fidanzata aveva già lasciato la casa. Gli sembrò strano, non entrava a scuola che alla seconda ora, ma forse voleva darsi alle compere. Al tavolo della colazione, lesse ancora qualche pagina, perplesso — era la sua vita, quella che leggeva nel libro. Andò a prendere l’auto, per recarsi al lavoro, ma in città c’era una strana atmosfera. Non c’era nessuno in giro, come in una domenica d’agosto. Dov’erano tutti? Perché non c’era il solito traffico?
Al lavoro non poté andare. Il cancello dell’azienda era rimasto chiuso. Si chiese se non ci fosse uno sciopero generale, di cui non sapeva nulla.
Non sapeva che fare. Decise di andare all’autolavaggio. Francesca lo rimproverava sempre perché non lo faceva mai. A proposito, dov’era lei? Perché non rispondeva?
Vide il libro, sul sedile destro. Mentre era dentro le setole vorticanti del lavaggio automatico, ricominciò a leggere. Nella storia, incontrava finalmente Francesca, l’unica donna che avrebbe mai amato.
Gironzolò per la stazione di servizio. Prese un caffè dalla macchinetta. Vide la locandina gialla delle giostre, quelle dove non era mai potuto andare, perché sua madre diceva che era troppo pericoloso.
Lasciò l’auto e cominciò a camminare, in direzione del sole, un grande disco color platino che diffondeva uno strato di lucore su quella città abbandonata.
Camminò, con quel libro sottobraccio, fino al piazzale periferico dove le giostre erano state montate, senza che nessuno le facesse andare. Si sedette a una di esse e ricominciò a leggere, non erano rimaste molte pagine e, alla fine dell’ultima pagina, raccontava della sera prima con Francesca, quando lui le aveva avanzato quelle domande esistenziali. L’autore del libro, con abile mano, aveva scritto come Carlo si era fatto, per la prima volta, una domanda che ogni uomo si pone da quando mette piede sulla terra.
Chi sono io?
Guardò la stanza delle giostre, dove c’era il gioco degli specchi.