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Ottobre 15 2024

L’estasi di santa Teresa d’Avila

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Regione della Castiglia (Spagna centrale), anno del Signore 1573. Teresa d’Avila era di cattivo umore. Da quando era nata, non aveva mai goduto di buona salute e, più volte, era stata sulla soglia della morte. Ciò non le era mai importato, perché sapeva che, al di là della soglia, Gesù aveva preparato una casa per lei, molto più bella e confortevole di quella dove era costretta a vivere. Teresa era di cattivo umore perché non le piaceva aspettare e non era contenta del motivo per cui stava aspettando. Sapeva che quello era un difetto (per il quale doveva fare penitenza), e che bisogna sempre accettare di buon grado ogni prova che Dio ci pone davanti. Eppure, nel suo cuore, era sempre rimasta una donna di una famiglia di un certo lignaggio. Non le sembrava corretto dover aspettare per quell’incontro con la principessa d’Eboli, che di recente aveva perso il marito e che l’aveva convocata perché le desse consolazione. Teresa era di cattivo umore anche perché intuiva quanto sarebbe conseguito dall’incontro: la principessa le avrebbe chiesto di accoglierla nel Carmelo, ma lei sapeva per certo che la donna non era per nulla pronta per il passo. Però era la principessa a finanziare quel monastero di Pastrana dove stavano in quei giorni. Se avesse rifiutato le sue richieste, lei e le monache sarebbero state costrette a mendicare.

«Mi dispiace per la morte del principe. Era una cara persona» disse subito la futura santa, quando fu ricevuta. Credeva alle sue parole. Anche Ana, la principessa, non era una cattiva ragazza, ma, come era prevedibile, la trovò circondata da libri. Ci teneva a risultare colta.

«Ha letto l’ultimo trattato del giovane Suarez? È un leone il cui ruggito si sentirà per tutto il mondo cattolico.»

«Non ho avuto modo» rispose la donna, sedendosi a una poltrona di fronte alla principessa, che aveva i gomiti poggiati su un tavolo della libreria un tempo appartenuta al principe, pieno di carte e altri libri.

«Teresa. Dicono che sei la donna più colta di Spagna.»

«Studio per abitudine e per dovere.»

«Stai scrivendo?»

«Ora sì, perché sono in obbligo.»

«Penso che saper scrivere sia un dono meraviglioso.»

«Può tornare utile.»

«Giovanni della Croce. Che poeta.»

«È un uomo ispirato dal Signore.»

«Tu perciò pensi che l’ispirazione venga sempre da Dio?»

«Non sempre da Dio.»

«Io stessa, sai, a volte, mi diletto nel comporre versi. Ma non ho la pretesa che siano di grande fattura.»

«Non dobbiamo pretendere troppo da noi stessi.»

«Pensavo…» disse la principessa, ridendo, spostandosi una ciocca dei ricci capelli neri dalla fronte «ti andrebbe di leggerne qualcuno?»

«Non sono un’esperta.»

«La donna più colta di tutta la Spagna.»

«Che importa, in fondo, dei nostri versi? Sono come la pula portata dal vento.»

«Come l’ospite di un giorno che passa. Conosco la Bibbia.»

«Stai leggendo il Vangelo? Per consolarti della morte del povero principe?»

«Certo, e frequento ogni giorno la Messa, e recito cinque volte al giorno.»

«Bene.»

«Trovo straordinario quello che fate

«Chi?»

«Voi. Insomma, tu, soprattutto. Il cattolicesimo sta ruggendo. La riforma non vincerà.»

«Sarà come deciderà il Signore.»

«Quanti monasteri carmelitani hai fondato, fino ad ora?»

«Non tengo il conto.»

«Mi piacerebbe passare del tempo con te. Starti più vicina. Voglio che diventiamo amiche. Ti trovo straordinaria.»

«Sono una donna straordinariamente ordinaria» rispose Teresa, pentendosi subito per l’elegante gioco di parole. Ma, era, in effetti, una donna colta. Ciò traspariva dal suo modo di parlare. Paventò il seguito della conversazione. Come immaginava, donna Ana Mendoza della Cerda, la principessa d’Eboli, voleva soggiornare al monastero col suo seguito.

Conversarono ancora educatamente di materie letterarie e teologiche, quindi della situazione dalla Chiesa dopo la Riforma e di quella della Spagna. La principessa insistette per donarle un bel mappamondo che troneggiava al centro della stanza, dicendosi “ormai disinteressata” ai possessi terreni. Teresa accettò, pensando che comunque avrebbe fatto bella mostra di sé nella piccola biblioteca del monastero. Lei, per certi versi, aveva ancora dell’interesse, per quei beni. La principessa disse che sarebbe stato recapitato da uno dei suoi servitori.

«Dove la porto?» chiese il conduttore della carrozza, quando fu fuori dal palazzo.

«Al monastero» rispose Teresa. Il sole era ancora alto. Si terse la fronte. Pensò alla quiete monastica, che presto sarebbe stata turbata da quel nugolo di donne di mondo. Anche se la principessa era bene intenzionata, non si sarebbe mai trovata a suo agio nell’austerità del luogo, e ne sarebbero sorti problemi. Avrebbe preteso degli accomodamenti della regola che Teresa non avrebbe potuto accettare e, infine, sarebbe venuta meno la loro prebenda, e le suore sarebbero dovuto tornare a mendicare. Pensò a San Francesco, il poverello d’Assisi. Quel pensiero la consolò. Dovevano essere pronte a tutto.

«È tornata Teresa!» dissero le suore, raccolte nel cortile a lavare i panni alla fontana. «Com’è andata dalla principessa?»

«Presto avremo ospiti» rispose la donna.

«Bene, sarà interessante» disse una delle suore più giovani.

«Lo sarà sicuramente» rispose Teresa, sorridendo, dentro di sé, per l’ingenuità della gioventù. Poi si disse che nessuno è mai veramente ingenuo, neppure da giovane. «Vada a riposarsi, Teresa. Il viaggio sarà stato stancante.»

«Sono un po’ stanca» ammise la priora, dirigendosi verso la sua stanza.

In quel periodo, fatto insolito, godeva di buona salute, eccetto per le solite emicranie. Immaginava il Signore le stesse indicando che era tempo di agire. Pensò alla principessa d’Eboli. Dolce, vanitosa. Confusa. Non si dovrebbe mai giudicare il prossimo, ma doveva valutare la situazione in modo oggettivo. Si chiese se fosse più facile chiarirsi nelle conversazioni di persona o in quelle epistolari. Quando si discute, spesso l’educazione impedisce di dare sfogo liberamente a ciò che appesantisce il cuore. Ma, a volte, al contrario, possiamo essere più franchi e diretti se parliamo di persona con qualcuno. Se la principessa voleva proprio salire al Carmelo, comunque, aveva bisogno di una serie di istruzioni. La donna più colta di tutta la Spagna sedette allo scrittoio e intinse la penna nel calamaio. La luce della sera, ancora gialla e calda, illuminava il suo foglio di carta. Trovò facilmente le parole, e scrisse alla principessa, e poi continuò a comporre un trattato d’istruzione spirituale.

Quando arrivò la sera, con la sua frescura, cenò con le consorelle. Erano di buon umore. Ridevano, scherzavano. Non c’era un clima tetro in quel convento, illuminato com’era dal sole mediterraneo. Lei preferiva mangiare in silenzio.

Dopo quel lungo giorno, finalmente potè stendersi nel suo giaciglio e dimenticare le preoccupazioni del mondo, e, dopo la preghiera, trovò la pace, e, per lei, la pace era con Dio e Dio era pace.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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