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Ottobre 18 2024

L’ultima tentazione di San Tommaso d’Aquino

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Abbazia di Fossanova, anno del Signore 1274. Tommaso immerse il pesante corpo nella tinozza d’acqua tiepida, pensando inevitabilmente ad Archimede. I confratelli lo prendevano in giro per il suo amore per la pulizia, retaggio della sua discendenza nobiliare. Lui soprassedeva, anche perché quel suo piccolo vezzo lo aiutava a capire fino a che punto si potessero circoscrivere i “peccati veniali.” Tendenzialmente, era un liberale. Non voleva essere come quei dottori della legge che, secondo Gesù, caricano gli uomini di pesi insopportabili che, essi stessi, non sarebbero in grado di reggere…

Intanto, da dietro un paravento che doveva salvare la sua verecondia, continuava a dettare incessantemente la Somma Teologica a fra’ Fortunato. L’amanuense stava bene attento a non perdersi una sola parola del futuro santo, che aveva la tendenza a terminare le frasi in un indistinto mormorio. Tommaso, mentre si detergeva, e dettava il compendio del pensiero cattolico dell’epoca (e, secondo alcuni, di ogni epoca), sfogliava un trattato naturalistico di Aristotele. La verità era che (udite, udite) la teologia gli stava venendo a noia. Ormai era convinto d’aver esplorato ogni suo ambito, per quanto il Signore gli concedeva di comprendere. Sentiva che, come continuava a dettare il trattato sull’Eucarestia, a cui sarebbero seguiti gli altri sacramenti e poi il Purgatorio, si stava avvicinando una resistenza. Quella difficoltà, come tutte le altre, sarebbe presto stata vinta dalla preghiera e dallo studio. Ancora pochi mesi di lavoro e la Summa Theologiae, il compendio che ogni buon cattolico avrebbe letto e studiato con profitto per i secoli a venire, sarebbe giunto a termine. Tommaso, come tutti i santi, era umile, però si rendeva conto che quanto andava componendo era un monumento del pensiero umano destinato a durare fino alla fine dei giorni. Si chiedeva a volte perché il Signore avesse scelto lui. Si diceva (sempre per volare basso) che ciò era dovuto alla sua straordinaria memoria e alla sua incredibile capacità di lavoro, e poco altro. Del resto, era soprannominato “il bue”, anche per via del suo aspetto. Il soprannome gli piaceva, perché un bue, secondo la tradizione, aveva scaldato la Sacra famiglia nelle notti della natività.

«Tommaso, mi spiace, ma deve ripetere l’ultima frase…» disse fra’ Fortunato, in volgare. Tommaso farfugliò qualche parola e riprese il filo. Conclusa la “questione,” (i capitoli da cui era composto il grande testo) si alzò dalla vasca da bagno. Gli piaceva sentire l’acqua scorrere lungo il corpo.

«Sufficiente per oggi?» chiese Fortunato, speranzoso di potersi finalmente riposare. Tommaso “faceva fuori” un amanuense dopo l’altro. Lui voleva durare quanto più a lungo possibile. Era onorato di essere stato scelto per quel lavoro. Nessuno si sarebbe ricordato di lui (tranne voi, che leggete questo racconto, e che, a questa anonima figura da me inventata potete associare chi, altrettanto umile e prezioso, rende il mondo in cui viviamo degno d’essere vissuto), ma Fortunato ne sarebbe stato sempre… orgoglioso? No, l’orgoglio era un peccato grave. Fiero, andava bene? Neppure. Si disse, sospirando, che l’importante era fare la volontà del Signore, e si segnò.

Sempre da quando frequentava (distrattamente) il mondo, Tommaso aveva con sé un accappatoio nero, pregiato, pieno di ricami, che la sua famiglia gli aveva pregato di portarsi in convento. Era ormai abbastanza logoro e vetusto perché non potesse considerarsi come un lusso e, ogni volta, gli faceva pensare con affetto alla madre e ai fratelli.

«Riprendiamo durante la cena» disse, implacabile. «Ora vado un’ora in cella per pregare.»

«Farò lo stesso…» s’affrettò ad aggiungere Fortunato.

Una volta nel suo spazio privato, Tommaso, infilato il saio, s’inginocchiò e si concentrò istantaneamente nella comunicazione col Signore. Pensò alla resistenza che ancora vedeva prima del termine del trattato. Chiese a Dio di superarla. Il suo desiderio fu esaudito all’istante. D’improvviso, il “compendio” (una poderosa serie di tomi per un totale di circa cinquemila pagine nelle edizioni moderne) si completò nella sua mente. Ogni particella era andata al suo posto. Il Regno si era schiuso a lui, l’umile bue di Aquino. La scienza teologica era fissata una volta e per sempre nella storia dell’uomo. Non restava che dettarla.

Mentre s’alzava faticosamente dall’inginocchiatoio (era pesante, e quasi cinquantenne) sentì una voce dal tono neutro chiedere:

«Sei tu Dio?»

«Riprendiamo?» chiese Fortunato, che aveva portato il libro al tavolo, sotto lo sguardo distratto degli altri commensali, a dire il vero anche un po’ preoccupati della portata che assumeva quel testo: poi toccava di studiarlo a puntino…

«Abbiamo terminato» disse Tommaso, con molta calma, impugnando forchetta e coltello coi suoi perfetti modi nobiliari.

«Ma dobbiamo ancora finire i sacramenti, e poi ci sarebbe da trattare il Purgartorio.»

«Il lavoro è concluso» disse Tommaso, seccamente.

Fortunato era tentato di chiedere per quale motivo il geniale frate non volesse andare avanti col lavoro. Non resistette alla tentazione.

«Perché?»

«Ho visto troppo» concluse il santo, accigliandosi.

Tre settimane dopo, morì.

Questa è una mia piccola versione del motivo per cui la Summa Teologica potrebbe non essere stata conclusa dal Santo. Naturalmente è solo una suggestione, senza fondamento nella realtà, ma era una storia che avevo voglia di raccontare. Mi scuso con le persone, infinitamente più sagge e serie di me, che nei secoli portano avanti lo studio e la divulgazione dell’inestimabile testo.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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