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Ostuni
Ottobre 12 2024

Note a margine

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Con lo scaldabagno rotto, in inverno, era costretto ad andare dalla sorella per lavarsi a dovere. Ancora precario all’età di trentasei anni, il professore era molto indeciso su quale modello acquistare.

«Sei sicuro?» chiese la sorella, consultando il catalogo (mentre sbucciava la mela).

«Trenta litri. Non è sufficiente?»

«Stai sempre una vita sotto la doccia.»

«Trenta litri…» pensò. «Dici che è troppo poco?» chiese ancora, dubbioso, spalmando un panino con burro e marmellata.

«Trenta litri è poco e quel mezzo panetto di burro è troppo. Non sei più un ragazzo» rispose la sorella. Prese il panino e lo gettò nella pattumiera.

«Il fatto…» fece il professore, un po’ piccato perché a quel panino aveva cominciato ad affezionarsi «il fatto è che l’inflazione galoppa.»

«Quanto hai speso in libri l’ultimo mese?»

«I libri non costano tanto.»

«Sì, ma tu quanto hai speso?»

«Non so, non più di…» cercò di fare il calcolo a mente. Non facile. Ne comprava quasi ogni giorno.

«Va’ in biblioteca comunale per un paio di mesi, anziché comprare libri. E prendi uno scaldabagno decente» concluse la donna, con lo stesso fare perentorio con cui aveva terminato la colazione del fratello.

 

E sia. Ordinò uno scaldabagno capiente e andò in biblioteca per vedere di trovare qualcosa. Diede un’occhiata all’espositore degli ultimi arrivi. Gli sembrarono commerciali. Uno però lo colpì.

“Camillo Sbarbaro… chi era costui?” si chiese, fermandosi nella sua ricerca. Aveva già letto il nome da qualche parte. Il professore leggeva disordinatamente, quello che gli capita fra le dita e catturava la sua attenzione al momento. Sbarbaro… un poeta. Forse un amico di Montale. Fece una rapida ricognizione della sua mappa della mente sui poeti minori del Novecento italiano. Decise di prenderlo in prestito.

«Professore…» disse la bibliotecaria, sorniona. «Non la si vede da queste parti dal tempo del concorso.»

«L’ho passato!» rispose subito, sentendosi in colpa. Non era felice della sua lentissima ascesa lavorativa.

«Ora insegna, vero?»

«Una supplenza, a dire il vero…» disse, impossibilitato a millantare da qualcosa di inscalfibile che era dentro di lui.

«Ma non ha passato il concorso?»

«Come idoneo.»

«Che significa?»

«Che bisogna aspettare un po’ per avere il ruolo.»

«E noi aspettiamo…» rispose al donna, passando il libro di Sbarbaro sotto lo smagnetizzatore.

 

«Francesca…» disse quella sera, chiamando la sorella, in ansia.

«Cosa?»

«Ho commesso un’immane cretinata.»

«Non capisco.»

«Ho scritto sul libro.»

«Non capisco.»

«Il libro che ho preso dalla biblioteca. Mi ero scordato che era in prestito. Sai che sono abituato a scrivere sui libri.»

«A penna o matita?»

«A penna»

«Sui libri si scrive sempre a matita.»

«Ora che faccio?»

«Nulla.»

«Nulla?»

«Nessuno ci farà caso.»

«No?»

«Va’ a dormire. Non restare sveglio a leggere troppo tardi.»

«Va bene…» disse l’uomo, pentito. Spese la luce. Continuò a rigirarsi nelle coperte, tormentato dal pensiero della ramanzina della bibliotecaria. Prese il libro e riaccese il lume.

 

Aspettò ventinove giorni, ma, infine, tornò in biblioteca.

«Camillo Sbarbaro…» disse la bibliotecaria, prendendo il libro. Il professore cominciò a sudare freddo al pensiero che avrebbe lo avrebbe sfogliato e avrebbe notato lo scempio. Ma, semplicemente, come aveva previsto la sorella, lo mise fra gli altri da ricollocare a scaffale, senza dir nulla.

 

Un mese dopo, alle undici di sera, telefonò alla sorella.

«Che c’è.»

«Sono un fallito.»

«Perché?»

«Non ho combinato nulla nella vita. Non ho mai realizzato i miei sogni.»

«Il tuo sogno era insegnare.»

«Sono solo un idoneo. Faccio supplenze.»

«Se pazienti, avrai il posto fisso.»

«Sto pensando di scrivere una storia per Topolino

«Cosa?»

«Uno che conoscevo all’università. Non proprio un amico, ma ci frequentavamo. Ora è nella redazione. Magari mi pubblica una storia.»

«Che storia vuoi fare?»

«Ho un’idea per una storia di Pippo.»

«Fa’ Zio Paperone, è più divertente.»

«Non mi sei di supporto.»

«Più di così?»

«È un’idea terribile. La verità è che vorrei scrivere un libro di poesie, ma non ho il coraggio. e poi è quello che fanno tutti.»

«Fa’ quello che fanno tutti. Se lo fanno, hanno ragione.»

La sorella chiuse il telefono. Lui cominciò a rigirarsi nelle lenzuola, pensando che non conosceva abbastanza a fondo i poeti minori del Novecento italiano, per scrivere un libro di poesie come si deve.

 

Il giorno dopo, andò in biblioteca. Fece incetta di libri di poesia. Distrattamente, prese di nuovo Pianissimo di Camillo Sbarbaro, anche se non lo aveva tanto apprezzato

Sedette a un tavolo libero e cominciò a sfogliarlo. Vide (orrore) il suo commento a penna:

“Un banale studio sulla depressione, monotono nei temi e artificioso nell’espressione.”

Poi, sotto, c’era un altro commento, scritto in verde e in una grafia minuta che non era la sua:

“Lei è un asino. È un sublime studio sul dolore.”

Il professore cominciò a sudare freddo. Per uno che aveva posto, come punto d’onore della sua vita, “sapere le cose,” essere definito asino era una grandissima umiliazione, sia pure da un’anonima (gli pareva la grafia fosse femminile).

Andò in bagno e telefonò alla sorella.

«Secondo te sono un asino?»

«Sai meno di quello che credi, ma sei sufficientemente colto per fare il tuo mestiere. Perché me lo chiedi?»

«Oggi una mi ha detto che sono un asino.»

«Com’era?»

«Chi?»

«Questa donna.»

«Non lo so. Mi ha scritto un messaggio.»

«Su internet?»

«Su un libro.»

«Invitala a uscire.»

«È una che ha scritto su un libro. Non so come è fatta. Forse non è neppure una donna.»

«È tempo che ti sposi.»

«Mi ha insultato.»

«Vuole dialogare con te.»

«Non so com’è fatta.»

«Non starei troppo a vedere com’è fatta questa persona, alla tua età» rispose la sorella, e chiuse la telefonata.

Il professore prese qualche appunto sulle poesie di Amelia Rosselli, quindi replicò al commento sul libro di Sbarbaro nel modo che gli sembrò più intelligente possibile, correggendo parzialmente il suo giudizio troppo negativo, e lo riportò alla bibliotecaria.

 

Un mese dopo (il suo libro di poesia arrancava, ma era riuscito a scrivere una discreta storia di Pippo) tornò in biblioteca.

«Lei ama molto questo testo» disse la bibliotecaria, dandogli quello di Sbarbaro. «Lo prende di nuovo in prestito?»

«No, consulto soltanto.»

Andò di sopra e vide subito se sul libro ci fosse un nuovo commento, ma restò deluso. Perché sarebbe dovuto accadere? Era tutta una sua elucubrazione, come al solito.

«Già fatto?» chiese la bibliotecaria, rivedendolo.

«Ormai lo conosco bene.»

«Dovrebbe discuterne con la dottoressa Caramia.»

«Chi è?»

«La coordinatrice del sistema museale. Lo ha preso anche lei il mese scorso.»

«Non la conosco.»

«È piuttosto in vista in città.»

«Non conosco molte persone in città.»

«Non ci sono solo quelle dei libri.»

«No, non ci sono solo loro…»  rispose il professore, a dire il vero perplesso per questa nuova informazione.

Nell’ingresso della biblioteca, diede un’occhiata, come da abitudine, alla bacheca degli eventi. Di lì a due giorni, c’era la presentazione di un libro di una poeta locale. Sarebbe intervenuta anche la dottoressa Caramia.

 

Sedette in fondo. Le persone cominciarono a riempire l’auditorium della biblioteca. Salirono sul palco due donne, di cui una sulla trentina e molto avvenente, e un’altra di mezz’età. Non senza meschino sollievo, capì ben presto che la donna più giovane era la dottoressa Caramia, quella molto in vista in città. Era la relatrice dell’incontro. Cominciò a parlare con competenza della produzione poetica della sua ospite, tracciando un parallelo col “sublime studio sul dolore” di Camillo Sbarbaro.

«Dottoressa…» disse lui, prendendola da parte quando il convegno finì. «Lei non lo sa, ma mi ha dato dell’asino» continuò, sorridendo cordialmente.

La dottoressa Caramia sorrise a sua volta.

«Lei è l’anonimo denigratore di Sbarbaro.»

«In persona.»

«Le faccio cambiare idea. Prendiamo un caffè.»

Il professore s’accorse, quando ebbe finito di fantasticare, che tutti avevano lasciato l’auditorium, tranne la solita bibliotecaria che doveva chiudere e lo invitava a uscire dalla sala.

«Ha conosciuto la dottoressa Caramia?» chiese, sorniona.

«Ci sarà modo» rispose il professore.

«Già, ci sarà modo.»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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