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Ostuni
Ottobre 19 2024

Nuova luce

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Il sindacalista della scuola lo invitò ad accomodarsi nel piccolo ufficio.

«ECDL?» chiese.

«Cos’è?»

«Certificazione informatica.»

«So usare il computer.»

«Ha la certificazione?»

«No.»

«Lingue?»

«Inglese e tedesco.»

«Certificazioni?»

«Che intende?»

«Ha dato gli esami?»

«Sì.»

«Perciò ha le certificazioni?»

«Ho dato gli esami a scuola.»

Il sindacalista sbuffò. Cominciò a battere tasti. Smise. Lo guardò. Sbottò.

«Lei perché è qui?»

«Voglio insegnare.»

«È quello che vogliono tutti.»

«So che il mio diploma equivale a una laurea.»

«Tutti sono laureati. Lei che faceva prima?»

«Sono restauratore.»

«Ha pubblicazioni?»

«Qualcuna.»

«Quelle forse le danno punteggio.»

«Mi hanno detto che per insegnare bisogna iscriversi a una graduatoria.»

«Si fa telematicamente.»

«Mi può iscrivere lei?»

«Si fa telematicamente. Da casa. Ha detto che sa usare il computer.»

Era quasi l’una. Era evidente che l’uomo voleva soltanto andare a pranzare.

«Inserisca le pubblicazioni. Forse le danno punteggio» disse il sindacalista.

«Forse.»

«Non poteva restare a fare il restauratore?»

«Mia madre è invalida. Mi sono trasferito a Ostuni per occuparmi di lei.»

«La madre. Certo.»

Mosse lentamente il carrello lungo il corridoio del supermercato. Aveva la lista che gli aveva dato la vicina del pianerottolo. Aveva detto che, se avesse preso tutti gli ingredienti, avrebbe pensato lei alla torta di compleanno. Prese la Coca-Cola e l’aranciata. Pensò di comprarsi una birra. Non lo fece.

«Come sta la mamma?» chiese la vicina, abbracciandolo e dandogli un bacio sulla porta d’ingresso.

«Stamattina abbiamo giocato a scala quaranta.»

«La festicciola le farà bene.»

«Spero non si stanchi.»

«Non la faremo stancare. Hai preso tutto?»

«È in cucina.»

La madre spense a fatica le candeline. Aveva appena sessantadue anni. Il suo sguardo era assente. Si chiese se si rendesse conto che erano tutti lì per lei.

Partì un piccolo applauso dalle poche persone presenti.

Portò in cucina quel che rimaneva della torta. Si fermò di fronte alla porta socchiusa. Sentì la vicina parlare con una vecchia amica della madre, mentre lavavano le stoviglie.

«Perciò stava al Nord?»

«Per tanti anni.»

«E che faceva?»

«Chi lo sa. Qualcosa nell’arte.»

«E adesso?»

«Sta qui.»

«Lavora?»

«Percepisce l’accompagnamento della madre.»

Aspettò qualche secondo, quindi entrò in cucina.

«Giovanotto meraviglioso» disse la vicina. «Ti è piaciuta la festa?»

Si carezzò i capelli della nuca.

«Spero che alla mamma sia piaciuta» disse.

«Dicono che lei venga ogni giorno in chiesa, ma non per pregare.»

Squadrò la donna. Sulla quarantina. Aspetto atletico, fasciata da bei vestiti. Erano di fronte al quadro del Veronese, pezzo pregiato della scuola veneziana del Cinquecento e, di gran lunga, una delle opere d’arte più importanti, fra quelle presenti nella piccola città.

Il restauratore sospirò.

«Per me il più grande mistero è come l’arte riesca a riprodurre la luce.»

«Lei viene qui ogni giorno e passa lungo tempo a studiare questo quadro.»

«Non c’è molto altro da fare qui.»

«Ha anche un ottimo curriculum.»

«Come lo sa?»

«È su LinkedIn» disse la donna, agitando un cellulare di marca.

«LinkedIn, certo. Ho fatto qualcosa in passato.»

«E ora?»

«Vengo qui a guardare il quadro.»

«Le piacerebbe metterlo a nuovo?»

«Che intende?»

«Con un restauro.»

L’uomo sgranò gli occhi. Guardò la figura del Cristo deposto dalla croce.

«A chi non piacerebbe?»

«Lo faccia.»

«Mi arresterebbero» disse, sorridendo.

«Non se io le do l’autorizzazione.»

«Chi è lei, mi perdoni?»

«Sono la direttrice del sistema dei musei locali.»

«E vorrebbe farmi restaurare un quadro del Veronese?»

«Dicono che il Sud non crede nei suoi giovani.»

«Vado per i trentasei.»

«Siamo al Sud.»

L’anziana che stava distribuendo i foglietti per la messa cominciò ad emettere sonori colpi di tosse. Continuarono fuori. Il cielo era grigio.

«C’è solo un dettaglio…» disse la donna.

«Mi faccia indovinare. Volete che lavori pro bono

«Farebbe splendida figura nel suo curriculum.»

«Il curriculum, certo» disse il restauratore, sorridendo. «Per come la vedo io, chi lavora nell’arte ha due problemi principali.»

«Sentiamo.»

«Il primo è che tutti pensano che il lavoro sia di per sé ripagante.»

«E il secondo?»

«È vero. Per restaurare un quadro del genere, sarei disposto a lavorare gratis.»

«Perciò il Veronese vedrà nuova luce?»

«Spero veda la sua luce autentica» concluse il restauratore, con la mente già al lavoro da fare.

«Devo spegnere l’interruttore» disse l’anziana della chiesa di Maria Santissima Annunziata. Dopo la messa, quando tutti erano andati a casa.

«Mi lasci ancora due minuti.»

«Sa dove si spegne?»

«Faccio io, certo.»

«Esca da dietro. La porta si chiude da sé.»

«Certo.»

Restò a contemplare il quadro. Ogni sera, la luce si spegneva su quel dipinto ed era riaccesa quella seguente. La chiesa si animava dei fedeli e qualcuno, distrattamente, guardava quel capolavoro della scuola veneziana che, per qualche motivo, viveva in quella piccola chiesa dalla provincia pugliese. Le luci si abbassavano, le luci si alzavano. Il quadro, sia pure custodito da una teca, si spegneva un po’ della sua luce ogni giorno, quella che Paolo Caliari, detto il Veronese, aveva miracolosamente creato attorno al corpo deposto di Gesù. Qualche turista, messo sull’attenti da una guida, avrebbe visitato la chiesa per guardare il quadro, quando le luci si fossero alzate. Ogni tanto, un autentico conoscitore sarebbe passato di lì. Ma tutti, dal più umile al più colto, si sarebbero fatti un’opinione sul suo restauro.

Abbassò le luci. A casa, la madre era con la vicina. Guardavano la tv del pomeriggio.

«Dove sei stato?» chiese la donna al figlio.

«In chiesa.»

Andò in cucina. Si versò un bicchiere d’aranciata rimasta dalla festa. Tornò in salotto. Disse alla vicina che, se voleva, poteva andare a prepararsi la cena. La donna si congedò. Si sedette al fianco della madre.

Guardarono insieme la televisione. La madre poggiò la mano sul dorso di quella del figlio.

«Dove sei stato?»

Ci pensò su.

«A Venezia.»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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