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Ostuni
Ottobre 18 2024

Chiusure di Natale, la protesta dei commercianti di Viale Pola: «Oltre al danno anche la beffa»

Nei giorni in cui l’Italia è zona rossa è vietato aprire a chi vende abiti, gioielli e accessori, mentre è consentito l’esercizio a chi vende giocattoli, profumi e intimo. «Il settore abbigliamento pesantemente discriminato», dichiara Lucrezia D’Amico

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Protestano i commercianti di Ostuni e in particolare coloro che operano nel settore dell’abbigliamento. Vestiti, gioielli e accessori non possono essere venduti durante i giorni in cui l’Italia diventa un’unica zona rossa. Via libera alla vendita di giocattoli, intimo, articoli sportivi e profumi. Su viale Pola, ad esempio, buona parte delle attività a partire da domani e durante i giorni a bollino rosso potrà rimanere aperta, perché oltre all’abbigliamento è autorizzata a vendere prodotti considerati di prima necessità. Un’anomalia che si riscontrerà lungo le strade dello shopping di Ostuni come in tutta Italia, che discrimina gli esercenti della categoria.

A sollevare il problema è Lucrezia D’Amico, segretaria della divisione ostunese di Confesercenti, colpita in prima persona da una regola che considera senza mezzi termini miope e discriminante. «È mortificante dover abbassare la serranda del mio negozio – spiega la D’Amico, titolare di una boutique da donna – quando quello accanto vende abiti per adulti ma anche per bambini, perciò può rimanere aperto. Siamo al limite dell’assurdo. Costituiamo la categoria più colpita dalla crisi economica generata dalla pandemia e non ci è concesso nemmeno lavorare tutti allo stesso modo. Vorrei ricordare inoltre che il comitato tecnico-scientifico, prima che il governo varasse il Decreto Natale, si era espresso a favore dell’apertura prolungata degli esercizi di tutte le categorie merceologiche, proprio per dare la possibilità ai cittadini di effettuare acquisti natalizi sino al 24 senza condizionamenti e per non discriminare nessuna categoria».

Sulla questione è intervenuta anche la sezione provinciale di Confesercenti, che accusa il Governo di aver letteralmente abbandonato il settore abbigliamento, escluso dalla lista delle categorie che potranno beneficiare dei ristori statali.

«Contrariamente ad altri settori commerciali ed artigianali – dichiara Michele Piccirillo, presidente facente funzioni della Confercenti provincialeper l’abbigliamento non è stata prevista alcuna forma di ristoro, non considerando ovviamente le “mance” erogate dall’Agenzia delle Entrate, pur nella consapevolezza che stiamo parlando di un comparto colpito duramente dalla prima e dalla seconda ondata di emergenza sanitaria.

Con una crisi economica così evidente sono davvero in pochi a ritenere indispensabile l’acquisto di un capo di abbigliamento. Da qui la crisi, per molti ormai irreversibile, di chi oggi non è più nelle condizioni di pagare l’affitto, le forniture di merce, le utenze, le tasse statali e comunali e soprattutto di mantenere la propria famiglia.

I prestiti tanto sbandierati dal Governo di fatto si scontrano con i vincoli del sistema bancario. Ciò significa che se un commerciante vive un momento di difficoltà non viene considerato “bancabile” e quindi non può accedere a quanto messo a disposizione dallo Stato.

Per quanto riguarda i ristori, invece, non si è ritenuto di considerare l’abbigliamento al pari di altri settori duramente colpiti dalla pandemia. Ecco perché in molti hanno già abbassato le saracinesche in maniera definitiva. Per loro, tra l’altro, non c’è neanche la prospettiva di poter accedere alle provvidenze riservate alle fasce più disagiate, visto che ci si basa sui dati contenuti nel modello ISEE e quindi su elementi di reddito riferiti allo scorso anno! La crisi è adesso! Ma è incredibilmente difficile dimostrarlo e soprattutto farlo capire a chi dovrebbe essere un interlocutore privilegiato e cioè gli amministratori locali, i consiglieri e assessori regionali e i parlamentari della Repubblica.

L’Italia, insomma, rischia di perdere un patrimonio inestimabile – conclude Piccirillo – derivante proprio dal settore abbigliamento ed in una provincia povera come quella di Brindisi il problema viene avvertito ancora in maniera maggiore. Ecco perché bisogna far presto per tentare di salvare il salvabile».

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