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Ostuni
Ottobre 18 2024

È il tuo momento, numero dieci!

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Il nostro reportage si chiude col numero dieci. Per chi non avesse letto i numeri precedenti, ricordiamo l’esperimento: com’è risaputo, negli anni ’90 dieci bambini di dieci anni, cinque maschi e cinque femmine, trascorsero un anno a vivere e studiare nella stazione spaziale internazionale, istruiti dai migliori pedagogisti. Nella nostra serie di articoli, abbiamo visto come tutti i partecipanti alla missione, da noi intervistati, hanno avuto una grande riuscita nella vita e si sono spesi perché il loro vantaggio fosse a beneficio dell’umanità. Ricercatori, capitani d’industria, artisti di fama. La numero tre, come ricorderete, ha contribuito all’avanzamento della ricerca nelle neuroscienze. Il numero cinque è un rinomato pittore d’avanguardia, le cui opere sono esposte nelle gallerie di tutto il modo e creano grande dibattito. La numero nove è la dirigente d’un’organizzazione no profit che combatte il cambiamento climatico.

È il tuo momento, numero dieci!

La casa è in apparenza dimessa: un villino di periferia con un giardino non troppo curato. Probabilmente il numero dieci è troppo preso dai suoi studi, dalle sue ricerche, dal suo lavoro al servizio del prossimo per curare questi dettagli. Ci è stato detto che non ha neanche creato una sua famiglia. Vedremo cosa avrà da dirci.

Suoniamo il campanello.

«Sì?»

«Siamo del giornale. Per l’intervista che avevamo concordato.»

«Ah già. I giornalisti. Venite.»

Il numero dieci (come tutti gli altri è ormai sulla quarantina) si presenta con una barbetta bionda, incolta, e una vestaglia, come se si fosse appena svegliato, anche se sono le undici di un lunedì mattina. Immaginiamo sia rimasto sveglio per tutta la notte per lavorare. Che sia un genio dell’informatica? Ne ha l’aria. Ci fa strada per il salotto, anch’esso in disordine.

«Gradireste un caffè?»

«Vorremmo cominciare subito, se non le spiace. Dobbiamo mandare il pezzo in redazione entro il pomeriggio.»

Toglie un cumulo di vestiti sporchi da un paio di poltrone di pelle e ci fa accomodare. Si siede di fronte a noi, poggia la gamba sul bracciolo di un divano e accende una sigaretta.

«Come posso aiutarvi?»

Siamo perplessi, ma sappiamo che presto il numero dieci, al di là delle sue eccentricità, ci lascerà stupefatti, come tutti gli altri.

«Lei, trent’anni fa, è stato nello spazio.»

«Ricordo qualcosa del genere.»

«Insieme ad altri nove bambini. Un esperimento per superare i limiti delle possibilità della mente umana.»

«Sì, mandarono anche me.»

«Con la nostra serie di articoli, abbiamo intervistato gli altri membri della missione. Sei ancora in contatto con loro?»

«Abbiamo un gruppo WhatsApp, ma ci scrivo poco a dire il vero» risponde il numero dieci, grattandosi la testa e continuando a fumare la sua sigaretta. Smoccola la cenere per terra.

«Il numero uno è in predicato di vincere il premio Nobel per l’economia.»

«Sarebbe il ragazzo indiano, vero? Cara persona.»

«La numero sette, dopo aver vinto uno slam di tennis, si è dedicata alla salvaguardia delle tartarughe marine, ormai in via d’estinzione.»

«Carla. Carissima ragazza.»

«Il numero otto…»

«So tutto del numero otto.»

«Numero dieci, ci tolga dalle spine. Lei che ha fatto della sua vita?»

«Aspettate, prendo un posacenere.»

Va in cucina. Torna con una ciotolina e delle lattine di birra.

«Volete?»

«Sono le undici del mattino.»

«Vi spiace se bevo?»

«Siamo a casa sua.»

Il numero dieci apre la lattina. Si accende un’altra sigaretta. Si gratta il capo.

«Cos’ho fatto con la mia vita. Bella domanda.»

«Voi partecipanti avevate a disposizione una borsa di studio illimitata. Potevate iscrivervi a qualsiasi università del mondo.»

«L’università. Sì, ci sono stato, per qualche anno.»

«Cos’ha studiato?»

«Scienze sociali, mi pare.»

«Le pare?»

«Il periodo dell’università è un po’ confuso, se devo dirla tutta.»

«Perché aveva preso scienze sociali?»

«Non so. Il depliant del corso mi era piaciuto.»

«Il depliant

«A casa ne mandavano di ogni. Da tutte le parti. Quello era carino. Mi piaceva la magnolia nella foto del cortile dell’università.»

«Le piaceva la magnolia.»

«Sì.»

«Per questo ha scelto scienze sociali.»

«Grossomodo.»

«Numero dieci, il numero quattro combatte contro la proliferazione delle armi atomiche.»

«L’università, diciamo. Come periodo è un po’ confuso. Ricordo che il mercoledì sera si usciva. Ricordo anche che mangiavo sempre spaghetti al tonno.»

«Spaghetti al tonno.»

«Sì.»

«È quello che ricorda dell’università?»

«Ricordo anche la magnolia. Mi pare che avessi… una fidanzata. Andavamo lì a fare picnic.»

«Sotto la magnolia.»

«Sì.»

«Con quanto si è laureato?»

«Non ho preso la laurea.»

«Non è laureato?»

«No.»

«Cos’ha fatto, dopo gli studi?»

«Per un po’ sono stato da mia madre.»

«È stato da sua madre.»

«Sì.»

«E che faceva?»

«All’epoca avevo le idee confuse. Guardavo la tv. Uscivo con gli amici del paese.»

«Perciò non lavorava.»

«No.»

«Né studiava.»

«Nemmeno.»

«Lei è stato nello spazio. Per un anno. Istruito dai migliori pedagogisti…»

«Sì, ricordo di averlo fatto» risponde. Sembra infastidirsi quando gli parliamo nella sua esperienza nel cosmo.

«Ora è ancora da sua madre?»

«No, no, ormai sono un adulto. Ho una casa mia. Ho anche un lavoro, sa?»

«Di cosa si occupa?»

«La stessa cosa che fa lei. Intervisto le persone.»

«Ah, capisco. Ora è tutto chiaro. Lei è un collega. Un giornalista. Come mai non ho mai sentito parlare di lei? Sta lavorando sottotraccia a un’inchiesta che scoperchierà una santabarbara di corruzione?»

«Nulla del genere. Non sono un giornalista.»

«Ha detto che fa interviste.»

«Venite nel mio studio. Vi faccio vedere.»

Lo seguiamo. Anche lo studio è in disordine. La scrivania è disseminata di carte, lattina di birra e scarti di cibo.

«Vi mostro il questionario. Vedete?» ci dice, porgendoci un foglio con una lista di domande. «Intervisto le persone. Uso il telefono.»

«Lei fa interviste al telefono?»

«Sondaggi d’opinione. Non è un cattivo lavoro. Paga i conti.»

«Capisco, numero dieci.»

«Volete sapere altro da me?»

«Mi sa che abbiamo saputo fin troppo. Vediamo, non ha qualche hobby? Non fa del volontariato, per esempio? Qualcosa… al servizio del prossimo?»

«Ho un hobby, in effetti. Se volete vi faccio vedere.»

«Certo.»

«Venite.»

Torniamo nel salotto. Infila delle calze di spugna bianca e un paio di scarpe da ginnastiche verdi.

«Venite, seguitemi.»

Lo seguiamo. Fuori dalla casa, dal retro. Ci porta in un boschetto di pini che si trova poco vicino.

«Non mi è chiaro il suo hobby» chiedo, quando siamo ormai nel mezzo del boschetto.

«Aspetti. Resti in ascolto.»

Ascoltiamo.

«Cosa sentite?»

«Nulla. Siamo nel bel mezzo del nulla.»

«Non è vero. Non sente il cinguettio dei passeri?»

«Ora che ci faccio caso, li sento. Numero dieci, non capisco.»

«Ho preso questa casa perché mi piace camminare. Mi piacciano gli alberi. Il silenzio, come dice lei. Ma non è un vero silenzio. Non ho mai trovato il vero silenzio, sulla Terra.»

«Cosa intende per vero silenzio?».

«Lei è mai stata nello spazio?»

«No, certo che no. Che domande.»

«Perciò non ha mai ascoltato il silenzio dello spazio profondo.»

«No.»

«Non esiste qualcosa di paragonabile sulla Terra.»

«Numero dieci, mi sembra di capire. A lei piacerebbe tornare nello spazio?»

Sì volta. Ci guarda. Ci accorgiamo che ha un viso dolce.

«Tornare. Cosa le fa pensare che me ne sia mai andato?»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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