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Ostuni
Agosto 12 2025

In Paradiso

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La foglia d’edera si allungava fin quasi a sfiorare la tazza di tè. Il giardino era lasciato, volutamente, in leggero disordine. Teneva fra le dita un romanzo di Graham Greene, chiedendosi cosa si fosse perso, in tutti quegli anni. Non era mai stato un grande lettore. In fondo, cosa si era perso? Soltanto parole.

Portò la manica del maglioncino color panna dietro la spalla. Cominciava a diventare freddo per prendere il tè in quel cortile, ma gli piaceva la vista del pesco che si colorava di rosso con l’autunno.

Si chiese se non fosse arrivato il momento di una passeggiata. Il medico s’era raccomandato che camminasse almeno una volta al giorno. A lui sembrava inutile, ma aveva sempre seguito il consiglio dei medici. Tutto sommato, lo avevano ben conservato, fino al giorno della pensione e oltre. Controllò se i lacci delle scarpe da tennis bianche fossero legati.

Quando giunse alla reception, l’addetto, in buon inglese, per quanto carico d’accento, gli chiese se dovesse chiamargli l’autista o preferisse camminare.

«Weather is fine today. Andrò a piedi.»

«Ha qualche preferenza sulla cena?»

«L’importante è che ci siano quelle deliziose burratine.»

«Non mancheranno» rispose il ragazzo, sorridendo. Lo aveva preso in simpatia. Era giovane, sperava di fare carriera. Studiava sempre, quando non era impegnato coi clienti. James approvava quell’atteggiamento. Anche lui era stato così.

Il paesaggio di Ostuni s’alternava con le sue ombre e le sue luci, modulando le tonalità di quello dello spirito. Lui e Sarah si erano ripromessi che avrebbero trascorso gli ultimi giorni in una campagna del Sud Italia. Che avrebbero preso una masseria insieme, come facevano in tanti nelle loro cerchie sociali (non è male fare come fanno tutti: si risparmia tempo), che lui “finalmente” avrebbe avuto tempo per leggere e lei avrebbe zappettato l’orto. Come sempre accade, il destino aveva altri piani. In qualche modo, aveva tenuto fede alla promessa fatta alla moglie, prima che morisse. Niente masseria, però. Che senso avrebbe avuto? Un comodo hotel andava bene.

Arrivò fino a corso Vittorio Emanuele II. Si sedette a una panchina, per godere del panorama da una diversa angolazione. Ricominciò a sfogliare il libro, ma, forse, ormai la sua mente era troppo distante da quello che, per qualche momento, a Graham Greene era sembrato così importante dire, e così importante che tutti leggessero. Molto più interessanti le notizie da Londra. Ogni tanto, si sentiva ancora con uno dei soci dello studio. Gli piaceva informarsi su come le cose procedessero al vecchio lavoro e, se poteva, dispensare qualche buon consiglio, da anziano saggio.

“Come va col golf?” gli scrisse uno dei soci in chat, per gentilezza.

“Mi difendo.”

“Incontrato qualcuno d’interessante?”

“Una donna.”

“Dacci dentro.”

Al golf, come al solito, tutti volevano parlare di business. Gli affaristi della zona avevano registrato che, a Londra, James era stato qualcuno d’importante, ma che, al momento, in fondo, non era nessuno e non era utile quasi a niente, perché il loro lavoro era lontano dai suoi circuiti. Lo tenevano a giocare con loro per buona educazione e gli facevano ogni giorno le stesse domande. Se gli piacesse Ostuni. Come fosse il tempo. Se stesse mangiando ancora le deliziose burratine.

Si chiese se fosse il caso di fare un giro in spiaggia. Nei piani abituali, sarebbe dovuto tornare in albergo per pranzo, per poi andare al golf nel pomeriggio. Non era sicuro di voler vedere gente, ma aveva anche promesso a Sarah, fra le altre cose, che non sarebbe diventato un recluso.

Non aveva voglia di tornare a piedi, ma neppure di chiamare l’autista. Scorse una di quelle simpatiche apette che risalivano il corso. Aveva sempre desiderato prenderne una. Fece un fischio e alzò festosamente un braccio, sentendosi come un ragazzo, per un momento. L’Ape accostò.

«Dove va?»

Gli disse il nome dell’albergo.

«Vuole fare un giro nel centro storico, prima?»

«Lo conosco bene. Mi porti a casa.»

Salì dietro, cominciando a farsi sballottolare sull’acciottolato. Il conducente era gentile, sorrideva. Erano sempre così, con gli stranieri. Speravano in una mancia. Non sarebbe rimasto deluso.

Il giorno prima era arrivata all’albergo una coppia d’inglesi con una figlioletta. Sperava lo ignorassero (aveva avuto a che fare con inglesi per tutta la vita, e non li aveva mai apprezzati particolarmente), ma gli estesero un invito tramite il caposala. Gente di mondo, anche loro. Da prima ne fu infastidito, ma poi si ricordò cosa gli aveva detto Sarah.

«Di cosa vi occupate?» chiese, sedendosi a tavola con loro, dopo i primi convenevoli.

«Lavoriamo nel terzo settore. Io come informatico, mentre mia moglie è il mio capo. Mi ha tirato lei dentro, prima ero un freelance un po’ disperato.»

«Terzo settore. A quale causa umanitaria vi siete dati?» chiese James alla moglie, individuata automaticamente come la più interessante della coppia.

«Volontari senza frontiere. Lavoriamo in appoggio alle principali organizzazioni di settore.»

«Mi faccia indovinare. Fate da tramite fra i volontari e chi ne ha bisogno.»

«Esatto» rispose la donna inglese, continuando a scorrere il menu con gli occhi intelligenti.

James intuì che erano dei pescecani. Spellavano le famiglie di ragazzi volenterosi e confusi, in cerca della realizzazione dei loro ideali romantici, ma anche di qualcosa di reale da mettere nel curriculum. Lei doveva essere la più scaltra dei due. Il marito sembrava più inconsapevole. Di sicuro votavano a sinistra.

La figlioletta gli chiese quanti anni avesse.

«Non si fanno certe domande…» la rimproverò la madre.

«Non importa. Vado per i settanta.»

«Non sembra tanto vecchio.»

«Non ho mai lavorato veramente…»

Risero. Redarguirono ancora la piccola.

«Ordinate le burratine…» suggerì. La figlioletta aveva gli occhiali e seguiva tutta la conversazione dei grandi con fare attento. James si chiese cosa sarebbe diventata. Forse una scrittrice.

«Nel pomeriggio viene in spiaggia con noi?»

«Partecipo a un torneo di golf.»

«Non sapevo che qui ci fosse un campo.»

«Non è male. Non come i nostri, certo.»

«Cena con noi?»

«Certo» rispose James.

Compagnia, aveva detto Sarah. Conosceva le sue tendenze misantrope. In fondo, quella coppia non era male. Il marito vestiva ancora come un ragazzo e sembrava ancora piacevolmente ingenuo.

Mentre giocava al golf, guardò di nuovo il mare, onnipresente dietro le dolci colline e gli alberi d’ulivo radicati nella terra rossa.

«Non ha perso la mano…» gli disse la donna italiana che giocava con lui, dopo un bel colpo.

«Solo fortuna» rispose, modestamente. Inspirò. Chiedendosi perché, alla sua età, dopo tutto quello che aveva passato, per lui fosse ancora tanto importante che una pallina s’avvicinasse quanto più possibile a quello sciocco buco.

Dopo la partita, presero del tè freddo al bar del circolo. A parere di James, le donne italiane erano mediamente più intelligenti dei loro compagni. Trovava che le ostunesi, poi, avessero un grande senso degli affari.

«Settembre a Ostuni» disse la donna, anche lei ottima golfista. Aveva i capelli rossi e mossi, di una sfumatura simile a quella delle foglie del pesco del giardino dell’hotel. Pendeva dalle sue labbra.

«Non è male, vero?»

«È il periodo migliore.»

«Quanto di ferma?» gli chiese.

«Sine die…»

«In inverno non starei qui.»

«Dove andrebbe?»

«Se fossi in pensione, come lei? Starei sempre in un luogo caldo.»

«Chissà, magari non vedrò una nuova estate.»

«Non dica così.»

«Va bene. Ne ho viste tante. La verità è che vorrei stare di nuovo con mia moglie.»

«Sua moglie la raggiunge?»

«Ora è in Paradiso.»

La donna sorrise.

«Crede nel Paradiso?»

«Cos’ho da perdere?»

«Mi sembra un buon atteggiamento. Cosa farà adesso?»

«Pensavo di passeggiare lungo la spiaggia.»

«Una camminata solitaria.»

«Sì. Guardare l’orizzonte. Riflettere su ciò che di buono e di meno buono ho combinato nella vita.»

«Avete avuto figli?»

«Una.»

«Cosa fa?»

«Lavora nel settore pubblico. Come faceva mia moglie.»

«Una figlia di successo. Un’onorata carriera. Una moglie di cui è ancora innamorato. La confesso che la invidio.»

James non credeva d’essere mai stato un sentimentale, ma avvertì un groppo alla gola.

«Nessuno può invidiare la mia situazione attuale. Glielo assicuro.»

«Perché è a Ostuni?»

«Un buon posto per vivere di memorie» disse, guardando il vento carezzare l’erba dei campi fuori dalla finestra del bar. «Ma, ora, mi parli di lei» continuò, con l’abituale buona educazione. Gli pareva che si stesse parlando troppo di James.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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