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Ostuni
Ottobre 15 2024

La stella della sera

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«Rimettila.»

«L’abbiamo ascoltata duemila volte.»

«Ancora una, dai.»

Lucia ci pensò su. Abbassò il finestrino della 500, nonostante fosse ormai una sera d’autunno inoltrato. Prese una sigaretta, la portò alla bocca e la accese. Sorrise. Infine, selezionò di nuovo sull’autoradio la hit dei Pinguini tattici nucleari, nonostante la avessero ascoltata all’infinito dall’estate a quel giorno.

Giò cominciò a ballare e cantare sul sedile del passeggero.

Quando si fu un po’ stancata, arrossata in volto, disse:

«Secondo te come saranno?»

«Chi?»

«Loro

«Loro chi?»

«Dai. Sai di chi sto parlando.»

«Tu sei tutta scema» rispose Lucia, ridendo.

Sul lato destro della strada avvistarono un autostoppista. Era sulla trentina, con lunghi capelli biondi, la barbetta, una camicia azzurra infilata nei jeans e una borsa di cuoio beige simile a quello delle scarpe. Aveva un aspetto vintage.

«Ci fermiamo?» disse Giovanna.

«E se è un serial killer?»

«Siamo due contro uno.»

Lucia si disse che ne concedeva sempre troppe all’amica, però per lei era un periodo non facile per via di problemi al lavoro, e stava cercando di distrarla. Si fermò qualche metro oltre l’autostoppista — il quale imbracciò la borsa e le raggiunse al trotto, chinandosi sul finestrino del passeggero. Lucia lo aprì solo un poco.

«Dove vai?» chiese.

«Voi da che parte andate?»

«In spiaggia. Pare abbiano visto un UFO» rispose Giò, con una bella risata gorgogliante.

Lucia ripeté:

«Tu da che parte vai?»

«Non ho una meta precisa» disse.

«Che lavoro fai?»

«Si può dire che sto sempre su dei comandi.»

«Un autista?»

«Si può dire.»

«Non è che per caso sei un serial killer?»

«Mi sembra eccessivamente faticoso.»

Giò rise.

«Fallo salire, dai.»

Lucia si disse che, problemi al lavoro o meno, gliene dava troppe vinte. Tra cui, quella gita in spiaggia fuori stagione.

(Spieghiamo meglio: qualcuno qualche giorno prima aveva visto delle strane luci nel cielo adriatico. Aveva anche scattato delle foto che erano diventate virali, per quanto, con ogni probabilità, fossero ritoccate. La gita in spiaggia, per scrutare il cielo in cerca di viaggiatori dallo spazio profondo, era stata un’idea della speranzosa Giò.)

Lucia, infine, aprì la sicura del portello posteriore. Il ragazzo (o uomo?) salì. Giò si voltò immediatamente verso di lui e tese la mano:

«Sono Giò, dottoressa in scienze delle comunicazione e presto, ahimè, disoccupata, in quanto la mia agenzia è in crisi» concluse, ritraendo il sorriso.

«Piacere Giò. Scommetto che tu sei quella che vuole vedere gli UFO.»

«Puoi dirlo forte. Lucia qui è la scettica. Siamo come Mulder e Scully.»

«Nessuna persona adulta può credere negli UFO» disse Lucia, senza togliere gli occhi dalla strada, dove erano responsabilmente piantati. Il cielo, in compenso, era di un bell’arancione con striature cremisi, che lo faceva somigliare a un improbabile gelato al melone variegato all’amarena. Le nuvole, mescolandosi, rimestavano quel pastone colorato.

«Certo, perché tu sai tutto. Lucia è convinta di sapere tutto, perché ha una laurea in fisica» disse Giò.

«Non è questione di essere laureati o meno, ma di logica. Se gli alieni esistono, non possono raggiungerci, perché le distanze interstellari sono incolmabili da qualsiasi tecnologia immaginabile. E, se anche avessero quella tecnologia, perché non si limitano a suonare il citofono, anziché apparire e scomparire misteriosamente nei cieli?»

«Che noiosa che sei. Forse ci stanno studiando. Vogliono capire perché siamo tanto terribili. Tu che ne pensi?» chiese, rivolgendosi all’ospite.

«Non ho un’opinione in merito» rispose lui, mentre rovistava nella borsa. Estrasse uno strumento musicale che né Lucia, né Giò avevano mai visto. Era una specie di armonica a bocca, ma piena di strani tasti.

«Che è?»

«Se volete vi suono qualcosa. Per sdebitarmi.»

«Sei un musicista?»

«Suono per passare il tempo.»

«Tu suonaci qualcosa» disse Lucia. «Poi ti dirò se mi sento sdebitata.»

Giò rise.

«Scusala. Suona, dai. Non ho mai visto uno strumento così.»

L’autostoppista non si fece pregare. Portò lo strumento alla bocca e cominciò a soffiare e a premere i tasti, emettendo un suono pressoché costante e basso, con qualche piccola increspatura. Lucia, che ascolta Schumann e Brahms a colazione, da prima pensò che il loro ospite le prendesse in giro; poi, si sentì incredibilmente calma e incline a perdonare Giò per le sue sciocchezze e imposizioni; infine, si sentì semplicemente serena e felice, ammaliata dalla luce del crepuscolo di quel bel cielo colorato. Si girò verso Giò, per vedere la sua reazione: dormiva.

«Come si chiama questa musica?» chiese all’ospite, che s’interruppe.

«Gelato al melone variegato all’amarena» rispose; quindi, ricominciò a suonare, e continuò fino a quando non arrivarono alla spiaggia, già affollata di persone che, nel dubbio che gli UFO venissero o meno, avevano impostato una bella festa d’accoglienza, con carne abbrustolita e gelide birre.

«Che farai?» chiese Lucia, in qualche modo addolcita dall’ospite.

«Pensavo di mischiarmi.»

«Proporrai la tua musica?»

«Forse qui servirebbe qualcosa di più adatto, come una chitarra» disse, con un bel sorriso. «Farai bene a svegliare Giò. Una volta ho mandato una persona in un coma.»

In effetti, ci volle un po’ per ridestarla.

«Il nostro bell’ospite è già sparito» disse, sussurrando nell’orecchio dell’amica.

«Chi?»

«Il giovane biondo.»

«Pensavo di averlo sognato.»

«Vieni. Forse riusciamo a scroccare una birra, prima che gli alieni ci rapiscano.»

«Extraterrestre, portami via…» canticchiò Giò, lanciando gli avambracci tintinnanti sulle spalle di Lucia e facendosi quasi trascinare in giro.

Trovato un gruppetto di noi reduci del Sud seduti intorno a un falò. Avevano finito l’università da tempo ma, per quanto ne sapesse Lucia, nessuno aveva ancora figli. Si vestivano come persone più giovani, per quanto ora forse si sia persa ogni forma di distinzione. Lucia aveva un bimbo che la aspettava a casa con quel bell’uomo del papà e la nonna. Non si sentiva in bisogno di nessun UFO che la salvasse da una situazione di immobilismo provinciale. (O da sé stessa, magari.) Però sentiva che qualcosa, nella sua vita, ancora mancava. Per qualche momento, si era sentita completa, durante la musica straniante dell’autostoppista, mentre guardava l’impasto colorato del cielo.

Giò si poggiò di nuovo alle sue spalle. Lucia le fece una carezza. Qualcuno passò loro una birra non poi così gelida.

«Anche voi in attesa degli alieni?» chiese, sorridendo. Sorrisero anche loro, un po’ in imbarazzo; forse perché anche loro si sentivano fuori posto; o che qualcosa non fosse al posto giusto.

L’arancio del cielo aveva lasciato la sede a una notte di un nero uniforme, priva di stelle; le nubi nere impedivano la vista di tutti gli astri del creato, come Venere, la stella della sera, spesso scambiata per un disco volante.

Giò, ancora sonnecchiosa, adagiò il capo sul grembo dell’amica.

«Così il cielo si vede meglio» disse.

«Non ci sono stelle, però.»

«Non so fare niente» disse Giò.

«Non è vero. Sei una tecnica della comunicazione. Sei brava.»

«Dovrò chiedere il sussidio di disoccupazione.»

«Non pensare a nulla» disse Lucia, carezzandole dolcemente il capo.

«Pensi che gli alieni ci rapiranno?»

«Magari ci mettono in lista d’attesa» rispose Lucia, sorridendo per la sua stessa battuta. Le venivano di rado di buone.

Anche Giò sorrise. Aspettarono.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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