Una volta di nuovo la dottoressa De Rosa rimpianse di non avere per sé un’altra giovinezza.
Sospirò, mentre passava sotto il lettore l’ennesimo codice fiscale.
«È tutto in regola?» chiese la signora che stava servendo allo sportello, un po’ intimorita e decisamente fuori dalle grazie degli altri utenti, perché era lì da una vita.
«Tutto in regola signora» rispose la dottoressa De Rosa, guardandola, aprendo e chiudendo gli occhi ormai sbiaditi dal tempo. La donna, finalmente, s’acquietò. Lasciò il posto in fila a chi aveva il numerino successivo al suo. Arrivò un altro, già fornito di codice fiscale da passare sotto il lettore.
La dottoressa De Rosa, una volta di più, rimpianse di non avere a sua disposizione un’altra giovinezza.
Verso l’una, al termine del suo turno, notò che nella sala d’attesa dell’ufficio c’era ancora seduto un signore dall’aria distinta, con un cappello e una bella sciarpa colorata che correva lungo i lati del cappotto.
«Ha bisogno?»
Lui si girò. Guardò la dottoressa De Rosa. Sorrise. Allegre rughe d’espressione si formarono sul suo viso.
«No guardi, ho finito anch’io» disse, prendendo il cappello.
«Lei non ha il numerino?»
«Nessun numerino, no» rispose lui. «Grazie per la bella mattinata» aggiunse, alquanto incongruamente. Nessuno si presentava mai volentieri a quell’ufficio.
«Va bene…» rispose la dottoressa, raccogliendo la borsa e il resto delle sue cose. Il signore diede ancora uno sguardo ai dipinti della sala d’attesa, quindi la lasciò.
Il mattino dopo, era di nuovo lì. Senza il numerino. Senza alcun codice fiscale da sfoderare. Seduto a guardare i dipinti.
Per la pausa delle dieci e mezza la dottoressa De Rosa, che non era più tanto giovane, ma non si considerava per questo priva di spirito d’iniziativa, prese due caffè della macchinetta automatica, si sedette al fianco del signore e gli porse un bicchierino di plastica. Lui accettò volentieri.
«Lei è qui per vedere i dipinti, vero?»
«Lei ha intuito» rispose lui, sorbendo il suo caffè.
«È un conoscitore?»
«Ero professore di storia dell’arte al liceo. Quarant’anni di onorata carriera. Ho anche pubblicato qualcosa. Una monografia su un fiammingo minore, di qualche successo. Nulla di che. Non mi faccia diventare vanitoso.»
«Un vero conoscitore, quindi.»
«L’arte, la confesso, ancora oggi non cessa di stupirmi.»
«Pensa che questi dipinti abbiano qualcosa?»
«Bella domanda» disse il professore, continuando a bere il suo caffè. «Lei cosa crede?»
La dottoressa De Rosa, allora, si concentrò sulla vista della protagonista dei quadri: la ragazza dagli occhi verdi. Non l’aveva mai notata veramente, nonostante fosse in quell’ufficio ormai da anni.
«Mi sembra che i colori siano stesi in modo uniforme ed elementare, e che le forme siano alquanto grossolane.»
«Certo.»
«Inoltre non sono certa che le proporzioni siano esatte.»
«No, non lo sono. Lei ha buon occhio.»
«Non mi sembra si rifaccia a uno stile o una scuola corrente o del passato, o che li rielabori creativamente.»
«No, certo, è arte naïf.»
«Però lei trova qualcosa in questi dipinti.»
«Sì, c’è qualcosa.»
«La ragazza dagli occhi verdi» disse la signora. «Prima è chiusa in gabbia, poi vola in cielo aggrappata a una sorta di corvo nero. In quell’altro sta scavando una fossa con una pala d’oro. La morte è al suo fianco.»
«Che ne pensa di queste immagini?»
«Sono molto inventive.»
«Sì»
«Direi anche suggestive.»
«Molto.»
«Mostrano… un’apertura metafisica?»
«Sicuramente. Lei è brava.»
La dottoressa De Rosa sorrise.
«Mi sembra di essere di nuovo all’interrogazione dell’ora d’arte.»
«Non si preoccupi. Non le metterò alcun voto.»
La dottoressa finì il suo caffè.
«La donna dagli occhi verdi. Cosa pensa stesse cercando di esprimere l’artista, raffigurandola?»
«Questa domanda mi sembra fondamentale.»
«Ossessione?»
«Sì.»
«Bellezza?»
«Sì. Sono davvero dei bellissimi quadri» rispose il professore, annuendo in modo entusiastico. «Siete molto fortunati ad averli.»
«Ha ragione» rispose la dottoressa. «Le confesso che non li avevo mai veramente guardati.»
«A volte la bellezza è ogni giorno sotto i nostri occhi, ma ci vuole una persona estranea che ce la faccia notare. Niente di male. Succede spesso.»
Intanto, un’altra signora si avvicinava allo sportello con un numerino e il codice fiscale, ma la dottoressa De Rosa, che, in qualche modo, si stava riappropriando di un po’ di giovinezza, decise di farla attendere.
«Lei cosa vede in questi quadri, professore?»
«Un uomo innamorato di una donna dagli occhi verdi» rispose.
«Oh.»
«In lei, l’artista vede tutto quanto di più bello, di più onesto, di più casto c’è nella vita.»
«Sì?»
«Con lei si sente completo. Ma, è evidente, non può averla» concluse il professore, sospirando malinconicamente.
«Per questo ama molto questi dipinti? E viene qui a vederli?»
«Vengo soprattutto perché ammiro l’opera dell’anonimo artista. Talmente umile da non firmare neppure il suo lavoro.»
«Posso chiedere al dirigente. Forse lo conosce.»
«Non lo faccia.»
«Toglierei la poesia, giusto?»
«Le confesso che non amo incontrare gli artisti di persona. Preferisco conoscerli tramite le loro produzioni.»
Nel frattempo, gli utenti dell’ufficio prendevano i numerini e continuavano a mettersi in fila di fronte allo sportello vuoto.
«Beh, può venire qui a vederli quando vuole» disse la dottoressa De Rosa. «Io, ahimè, devo tornare al mio impiego.»
«Ha ragione. Le forme sono elementari. I colori… non sempre ben bilanciati» continuò il signore, continuando fra sé e sé. «Però sa cosa fa la differenza fra un prodotto dimenticabile e quello di un grande artista?»
«Mi dica…» disse ancora la dottoressa, guardando un po’ preoccupata la fila che s’ingrossava.
Il professore si dedicò a quel quadro dove la ragazza, seduta in un prato, leggeva le poesie di un lirico tedesco sotto una tempesta in arrivo. Anche se non lo disse, per lui quel quadro raccontava ancora quella storia che non smetteva di stupirlo.
«Qual è la differenza?» chiese ancora la dottoressa.
«Verità» disse lui, girandosi verso la donna, guardandola coi suoi occhi semplici e cordiali. «In queste opere io vedo verità.»
«La verità ha gli occhi verdi…» rispose lei, senza potersi impedire di sorridere e guardare a sua volta il quadro. «Mi pare di capire…» disse.