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Ostuni
Ottobre 19 2024

L’altra dottoressa (seconda parte)

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Potete leggere la prima parte del racconto cliccando su questo link.

Tre mesi di perfetta felicità. Giulia, la dottoressa, era divertente, era seria, era tenera, era spaventosamente intelligente: tutto quello che aveva sempre sperato di trovare in una donna. Claudio, il giornalista, portò fuori a cena l’amica Lara per ringraziare di averli presentati — a patto che non fosse sushi.

«Qui la pizza non è male.»

«Pizza. Bah» disse la donna, addentando comunque un triangolo con gusto. «Come va con Giulia?»

«Siamo felici.»

«Certo, i primi tempi sono i migliori. Ma…»

«Ma cosa?»

«Ho sentito che arrivava un “ma”.»

«Non posso negarti che a volte la trovo spiazzante. Mi sorprende sempre. È quasi come due donne in una sola persona.»

«Questo ti dà fastidio?»

«Mi affascina. E mi porta a pormi domande. Sono un giornalista, è il mio mestiere indagare.»

«Non indagare troppo» disse. «Goditela finché dura. Non male la pizza, in effetti.»

«Non male, già.»

Quella sera, comunque, la dottoressa Giulia era di pessimo umore. Quando era così, di solito spazzolava i capelli. Claudio sapeva già che non era il caso parlarle quando aveva quell’aria torva.

«Mi passi le pillole?» chiese, perentoriamente.

Il giornalista s’alzò dal letto e prese l’anonimo tubetto bianco dal comodino della sua nuova fidanzata. Non sapeva bene per cosa fossero, ma immaginava che lei fosse benissimo in grado di prendersi cura della sua salute. Giulia ne mandò giù due con un sorso d’acqua, quindi poggiò la spazzola sul comò (i suoi capelli, a ogni modo, erano pressoché ingovernabili) e si girò verso di lui, sorridendo.

«Scusami. Ho avuto una giornata pesante.»

«Al lavoro?»

«Ho sempre ostacoli. Un ostacolo dopo l’altro. Appena ne abbatto uno, me ne trovo un altro davanti. Possibile che la vita adulta sia tutta così?»

«Gli ostacoli si possono anche aggirare, non sempre è necessario abbatterli.»

Lei rise.

«Hai ragione. Mi piaci anche perché sei saggio.»

«Vieni qui.»

La dottoressa andò dal suo amante, che cominciò a carezzarle i capelli.

«Domani andiamo dai miei genitori, okay?» mormorò lei.

«È già tempo di conoscerli?»

«Penso di sì.»

«Ti passo a prendere dopo il lavoro.»

«Andiamo con la mia. Sai che mi piace guidare.»

«Come desideri.»

Quando uscì dal giornale, il giorno dopo (il barone rosso, l’investitore seriale, non colpiva ormai da mesi, e la cronaca aveva altre gatte da pelare) notò una fiammante decapottabile rossa con una bellissima donna alla guida. Per un secondo, desiderò di conoscerla a tutti i costi; un attimo dopo, si rese conto che era Giulia, la dottoressa.

«Giulia. Uao. Da dove hai preso la macchina?» disse, salendo.

«Era di mio padre. Non so più neppure perché pago l’assicurazione, non la porto quasi mai.»

«Sei davvero piena di sorprese. Che hai fatto ai capelli?»

«Nulla. Perché lo chiedi?»

«Hanno un colore più vivo.»

«Solo la tua immaginazione.»

«Sì, penso di sì.»

A ogni buon conto, la donna raccolse la chioma in un foulard e cominciò a guidare verso la campagna.

«Mi chiedo» disse il giornalista, sornione, «se oggi sono con Giulia, o con l’altra dottoressa.»

Lei sorrise, in modo un po’ bieco. Infilò gli occhiali da sole e prese una sigaretta. Claudio non l’aveva mai vista fumare prima.

«Che intendi?»

«A volte mi sembri un’altra persona.»

«Sono sempre la stessa.»

«Mi chiedo quale sia la tua vera personalità.»

«Dicono che possiamo averne più di una.»

«È il tuo caso?»

«No. Sono sempre la stessa.»

«Rallenta. Su questa strada non si può andare a più di settanta.»

La donna rallentò, ma poi accelerò, incurante. Gli alberi sfrecciavano ai loro lati.

«Hai abbattuto altri ostacoli, oggi?» chiese il giornalista, un po’ preoccupato per la sua andatura.

Lei sospirò.

«Non riesco, comprendi. Per quanto io cerchi di frenarmi, non mi è possibile. Lo comprendi?»

«Che intendi dire?»

«È sempre stato così. Fin da piccola. Impulsiva. Rabbiosa. Un terrore per i miei compagni di scuola. All’Università ho cominciato a fingere, a nascondermi, a fare la parte della remissiva, ma fingere non bastava. Avevo bisogno di un’altra soluzione.»

Sembrava che, quando guidava, emergesse il suo autentico sé.

Il giornalista cominciò a comprendere.

«Inibitori della rabbia, giusto? Per questo fai ricerca su questi. Per frenare te stessa.»

Si tolse il foulard. I capelli splendevano più che mai del suo rosso naturale, anziché di quello strano magenta di cui diventava quando prendeva le pillole. Claudio si sentiva soggiogato dal suo fascino, ma anche terrorizzato dai segreti che quella donna stava rivelando.

«Ognuno dovrebbe vivere seconda la propria vera natura» disse. Prese il tubetto di pillole dal cruscotto e lo versò in strada.

«Dove mi porti?»

«Dai miei genitori.»

Arrivarono a un cimitero di campagna. Lei gli aprì la portiera e lo prese per mano, fino quando non visitarono la tomba di famiglia.

«Come sono morti.»

«Incidente domestico.»

«Puoi essere più specifica?»

«Un incendio.»

Il giornalista rabbrividì.

«Sei tu a investire le persone?»

Non rispose, guardando mesta verso la tomba.

«Sei tu il “barone rosso”?»

Non rispose ancora.

«E i tuoi genitori…»

«No, di questo non sono colpevole» disse la donna, provando a intrecciare la mano con quella del fidanzato, ma lui si ritrasse.

«Perché mi dici tutto questo?»

La donna lo guardò con uno sguardo a un tempo fiammeggiante e disperato.

«Le ho provate tutte. Non mi resta che confessare. Per questo sto uscendo con te. Sei un giornalista. Sai come raccontare le storie.»

«Non capisco. Quando ti ho conosciuta, eri un tranquillo topo di laboratorio.»

«Quella era l’altra dottoressa. Non sono io. Sono quella che vorrei essere, ma non sono io. Che farai di me ora?»

«Se hai bisogno di confessare» disse il giornalista «dovresti andare da un prete, o da un poliziotto.»

«Pensavo di piacerti.»

«Sei la donna più affascinante che io abbia mai conosciuto. E la più terribile.»

«Ho sbagliato a rivelarti tutto. Non voglio finire in prigione. Amo la mia libertà» disse la donna, prendendo qualcosa dalla borsetta. Claudio, per un momento, temette che fosse una pistola, ma era di nuovo il pacco di sigarette. «Prendine una» disse, lanciandolo a lui. «Sei troppo un santerellino.»

Si sedettero a una panchina del cimitero.

«Che facciamo ora?» disse Giulia, anche se non le sembrava importare. Lanciava a destra e a sinistra lo sguardo con aria fiera.

«Finora non hai ucciso nessuno. Se ricomincerai a prendere le tue pillole, e non ci saranno più incidenti, non dirò nulla.»

«Mi piace essere così. Sono stanca di vivere una vita non mia. Nessuno comprende quanto sia stancante essere una persona che non vuoi essere.»

«Puoi essere così, con me.»

«Cosa?»

«Bella. Pericolosa. Io posso accettarti per quello che sei.»

«Sono una pericolosa sociopatica.»

«Forse io ti posso aiutare. Da quando stai con me, non hai investito nessuno.»

La donna ci pensò su, ravvivando i capelli nel vento, più rossi che mai. Gettò della cenere sul suolo sacro.

«Amore. Ti confesso che non ci avevo mai pensato. Sto con te solo per fini utilitaristici, come ogni cosa che faccio. Però devo ammettere che mi tieni distratta.»

Lui carezzò i suoi capelli. Una signora li guardò in modo bieco. Non era modo di comportarsi in un cimitero.

«E sia. Dobbiamo rottamare quell’auto. È troppo pericolosa.»

«È l’unico ricordo dei miei.»

«Hai mai fatto male a nessuno, prima che scoppiasse l’incendio?»

«No.»

«Non pensi che possa essere quello l’evento scatenante?»

«Come, un trauma? Sei dolce, nel volermi giustificare» disse. «Amore. Un farmaco che non avevo preso in considerazione.»

Detto questo, lo guardò, gli diede un rapido bacio sulla guancia e scappò via. Claudio provò a inseguirla, ma era più veloce. Prese l’auto e sgommò via all’impazzata. Lui cominciò a camminare lungo il ciglio della strada, fino a quando non fermò al volo un autobus che stava passando. Si sedette sconsolato vicino al finestrino, non sapendo che fare. La vettura, dopo pochi minuti, si fermò, e restò fermo per un tempo che parve a Claudio interminabile, fino a quando non andò a parlare con l’autista.

«Che succede?»

«Siamo bloccati per via di un incidente, poco avanti. Pare che un’auto si sia schiantata contro un albero.»

«Un’auto? Che auto è?»

«Un attimo, chiedo.»

L’uomo prese la radio e confabulò con un collega, o forse con la stazione.

«Una rossa» disse, guardando distrattamente nello specchietto. «Una decappottabile rossa. Speriamo non si sia fatto male nessuno.»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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