Il 19 marzo scorso la GialPlast SRL, azienda che a Ostuni co-gestisce il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia firmata dal Prefetto di Lecce, Maria Teresa Cucinotta. Il provvedimento, emesso a scopi preventivi, è stato disposto in quanto sussistono trenta contratti di lavoro stipulati dall’azienda nei confronti di dipendenti condannati in passato per cosiddetti “reati spia del condizionamento mafioso”.
Valentina Palmisano, deputata ostunese del Movimento Cinque Stelle, lo scorso venerdì 21 giugno, ha presentato in aula un’interrogazione a risposta scritta (la n. 4-03143), rivolta al Ministro dell’Interno, Matteo Salvini e al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Di Maio.
«Notizie di stampa recenti – si legge nel testo dell’interrogazione diffuso alla stampa – hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica la vicenda relativa a 30 dipendenti, su un totale di circa 500, della ditta GialPlast SRL – Servizi di Igiene Urbana e Ambientale, con sede a Taviano (LE), ai quali, dopo una prima lettera del 16 aprile 2019 recante una contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro, in data 8 maggio 2019 è stato comunicato, attraverso una seconda missiva, il licenziamento disposto nei loro confronti, a seguito di una informativa interdittiva ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011, emessa dalla prefettura di Lecce nei confronti della GialPlast SRL, per la quale veniva decretata la cancellazione dall’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cosiddetta white list) dovuta, secondo quanto comunicato dai vertici della società, anche alla sussistenza di condanne penali in capo ai dipendenti sopracitati.
In particolare, a questi ultimi è stata contestata, a seguito di specifici accertamenti che hanno evidenziato le condanne penali passate, una incompatibilità con le prescrizioni normative in materia a cui sono soggette le imprese, in materia di legge antimafia. Secondo le stesse fonti di stampa, in molti casi si tratterebbe di carichi pendenti risalenti a diverso tempo fa e non riferibili ad ipotesi di possibile infiltrazione mafiosa (ad esempio furto di bicicletta).
Su analoga vicenda è intervenuta anche la sentenza n. 11189 del 2018 del tribunale di Bari, che ha accolto il ricorso di un dipendente nei confronti della società datrice di lavoro sottoposta a interdittiva antimafia, annullando il licenziamento disposto nei confronti del lavoratore e condannando l’azienda al reintegro dello stesso nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria sino all’effettiva integrazione.
Di recente, un caso simile si è verificato per 14 lavoratori della società pugliese Ecotecnica, operante sempre nella raccolta dei rifiuti, preventivamente sospesi dall’azienda perché gravati da precedenti penali, successivamente ricollocati nella stessa a seguito del «congelamento» dei provvedimenti di sospensione a loro carico e in attesa di un tavolo di discussione tra società e sindacati sulla vicenda.
Si chiede pertanto quali iniziative di carattere normativo – conclude l’on. Palmisano – intenda porre in essere il Governo per impedire che l’applicazione della cosiddetta «interdittiva antimafia» generi risvolti abnormi, come nel caso dei lavoratori della GialPlast SRL, che hanno scontato condanne risalenti a 20-25 anni fa, non attinenti a reati di stampo mafioso».