Dopo nove anni è arrivata la prima verità giudiziaria che condanna i quattro carabinieri protagonisti del cosiddetto ‘caso Marrazzo’.
I quattro filmarono l’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, in una abitazione in via Gradoli, in compagnia di una transessuale. L’irruzione in quell’appartamento sulla Cassia quel 3 luglio del 2009, secondo la sentenza di primo grado emessa dai giudici della nona sezione penale del Tribunale di Roma, costituì il prologo del ricatto ordito ai danni di Marrazzo.
Nel video girato dai militari compariva Marrazzo in boxer in compagnia di una trans e anche alcune dosi di cocaina, posizionate accanto al badge dell’ex governatore del Lazio. I militari avrebbero ricattato Marrazzo chiedendogli 20mila euro in cambio del loro silenzio. Il video venne poi consegnato ad alcuni settimanali tra cui “Chi”, edito da Mondadori, e arrivò sulla scrivania di Silvio Berlusconi, che avvertì Marrazzo dell’esistenza del filmato. Da qui scaturì un terremoto politico che costrinse il governatore della Regione Lazio a dimettersi.
Al termine di un processo di primo grado durato sei anni, sono stati condannati a dieci anni di carcere e al pagamento di 50mila euro di multa Nicola Testini e l’ostunese Carlo Tagliente, mentre agli altri due carabinieri è stata inflitta la pena rispettivamente di sei anni e sei mesi e tre anni di carcere. I quattro erano accusati di concussione, rapina, violazione della legge sulla droga e ricettazione in relazione al video oggetto di ricatto.
Per i tre militari, la sentenza ha previsto anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’estinzione del rapporto di lavoro con l’Arma dei Carabinieri. Per Tamburrino invece l’interdizione dai pubblici uffici avrà una durata di cinque anni.
“La sentenza ha riconosciuto in pieno– afferma Luca Petrucci, legale di Piero Marrazzo- la piena colpevolezza degli imputati, che si sono resi responsabili di un ignobile sopruso e di un vile ricatto criminale. Marrazzo è stato vittima di una concussione molto grave, commessa da carabinieri in servizio”.
Sono molti i punti oscuri di questa vicenda, tra cui la morte della transessuale brasiliana Brenda, coinvolta nello scandalo, che perse la vita in un incendio e di uno spacciatore implicato nel ricatto, che morì stroncato da una overdose.