L’Italia è vice-campione del mondo ai Mondiali femminili di Volley. Per quanto sia un’affermazione meravigliosa anche solo da scrivere, quel prefisso, quelle quattro lettere, lasciano un momentaneo velo di amarezza, celano qualcosa di immenso che poteva essere ma che, purtroppo, non è stato. Il day after spazza via quell’attimo di delusione e riempie d’orgoglio: lo squadrone italiano è d’argento, “le ragazze terribili” sono vice-campionesse mondiali.
Dall’altra parte del mondo, alla Yokohama Arena la finalissima del Mondiale di Pallavolo Femminile ha premiato la forte Serbia, al cospetto di cui le giovani italiane sono state ancora una volta sublimi, ma non abbastanza per tingersi d’oro. È tuttavia nell’ordine di cose, lo sport è anche questo, capita di giocare alla grande e di non vincere, di meritarselo quel titolo che fugge da sedici anni, dal Berlino 2002 che tante analogie riportava alla mente.
Nella supersfida per l’oro le atlete guidate sapientemente da Davide Mazzanti si sono portate in vantaggio due volte ed altrettante volte sono state rimontate. A decidere il trionfo è dunque stato il quinto set di spareggio in cui, ahinoi, come nel più logico dei pronostici, ha fare la differenza è stata quella certa attitudine a giocare determinate partite, a mettere giù specifici palloni, a sostenere un testa a testa di altissimo livello. Ed in questo le campionesse europee serbe hanno saputo ripetersi, vincendo il proprio primo mondiale.
Le lacrime delle nostre ragazzine hanno sciolto i cuori di tutti, gli applausi e i ringraziamenti per averci fatto vivere emozioni così belle sono piovuti su tutti i canali. Ciò che la squadra, tra le più giovani del torneo se non la più giovane in assoluto data l’età media di appena 23 anni, è riuscita a compiere, ha generato seguito, affetto, ammirazione e quell’innato senso di appartenenza ed aggregazione che solo lo sport con la S maiuscola è capace di regalare. La nazionale azzurra, anzi colorata, si è resa protagonista di un cammino letteralmente superlativo.
In partenza l’intento dichiarato non era certo quello di lanciarsi alla conquista del Sol levante, ma la splendida idea di fondo era quella di scendere in campo e dare il meglio, fare il possibile. Così facendo hanno rischiato di centrare il titolo, e lo hanno fatto divertendosi come matte. Ci si aspettava che l’insidiosa competizione iridata fosse un po’ il banco di prova ideale per testare un gruppo promettente ma estremamente giovane, disputare un buon mondiale insomma, in vista di delle prossime olimpiadi 2020.
Che la squadra fosse forte era noto, ma il pronostico e la convinzione comune si appellava al peso ed alla tensione della competizione, che ad un certo punto avrebbe potuto prevalere su quel pizzico di esperienza a cui la giovane età avrebbe potuto pagar tributo. Neanche per idea: l’esuberanza, l’affiatamento, il legame magico ed il talento cristallino si sono miscelati alla perfezione permettendo alle azzurre di scalare tutti gli ostacoli. Sono cadute Bulgaria, Canada, Cuba, Turchia, Cina, Azerbaijan, Tailandia, Russia, Stati Uniti, e più era altisonante il nome dell’avversario abbattuto e più fragorosa si faceva l’epopea azzurra.
Spesso ci accorgiamo di queste gesta nel momento in cui si fa tangibile il rischio di raggiungere qualcosa di veramente importante, quando c’è da salire o anche solo scortare il carro dei vincitori. Gli appassionati invece si sono goduti ogni passo dell’esaltante scalata. Poi è arrivata la vittoria sulle padrone di casa del Giappone, il momento in cui l’Italia ha raggiunto per la quarta volta nella sua storia le semifinali: l’essere tra le prime quattro del mondo ha scatenato il giusto seguito e le giuste attenzioni. La battaglia vinta in semifinale sulle campionesse olimpiche della Cina poi, ha mandato in visibilio l’intero Paese. I trafiletti sui giornali sono stati sostituiti dai paginoni, interi servizi televisivi hanno rimpiazzo le scarne comunicazioni dei risultati.
Sabato 20 ottobre tutta Italia ha tifato ansiosamente davanti ad ogni tipologia di schermo, Italia – Serbia è diventata la partita dell’anno, la proverbiale rivincita sulle temibili atlete balcaniche che in altre competizioni avevano avuto la meglio (come nell’unico ko giapponese, incassato però a semifinali già raggiunte). È stata un’altra battaglia epica (ad appena 24 ore da quella precedente), ancora cinque set, ancora una prestazione eccezionale con cui le ragazze italiane si sono quasi prese il mondo. La premiazione finale ha peraltro esaltato l’operato di ben quattro italiane, presenti nel sestetto ideale delle migliori giocatrici della manifestazione.
L’impressione è che per quel dannato titolo sfuggito sul più bello, come per altri successi analoghi, sia solo una questione di (poco) tempo, perché di queste giovani ragazze si sentirà parlare molto a lungo. Non sono riuscite a prendersi il mondo oggi, ma hanno tutte le carte in regola per prendersi il futuro.