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Ottobre 18 2024

Dente di drago

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Lo zio aveva un lavoro avventuroso: era un documentarista. Quando visitava la nipote, portava sempre ogni genere di storie e di regali. Quella volta, le diede un dente di drago.

«I draghi non esistono» rispose la ragazzina, che stava crescendo ed era, per la sua età, piuttosto matura. Aveva già deciso d’iscriversi al liceo scientifico.

«Come no…» rispose l’uomo, ridendo. Sollevò il lembo del pantalone per mostrare la caviglia: «Altrimenti, come mi sarei procurato questa?»

Una cicatrice, biancastra e irregolare. Probabilmente un morso di cane. La nipote s’era fatta l’idea che il dente nella sua mano potesse appartenere a un coccodrillo. Non disse niente per non rovinare il divertimento dello zio, che la credeva ancora una bambina.

«Ancora un pezzo?» chiese la madre della ragazzina. Stava armeggiando con una teglia di melanzane. Qualcosa di anche più pericoloso di un drago, per un uomo ben oltre la mezz’età.

«Sai che non resisto…» disse, massaggiandosi lo stomaco. Era grande e grosso, con una barba alla Orson Welles e perennemente abbronzato. Si capiva che non gli spiaceva trascorrere il pranzo in famiglia, all’ombra degli alberi di pino di quella bella campagna assolata, divertendosi un mondo nel raccontare i mille aneddoti della sua vita eccezionale.

Dopo pranzo, lo zio andò a riposare. La nipote poggiò il dente di drago sulla mensola della stanza, insieme alle altre cianfrusaglie che aveva accumulato negli anni. Aprì il computer per vedere cosa combinavano gli amici. Avevano una chat privata ed erano molto affiatati.

“Com’è andato il pranzo?”

“Al solito. Fanfaronate dello zio.”

“Pensavo lui ti piacesse.”

“Quando ero piccola.”

“Non è uno famoso?”

“Mah. Forse nel suo campo. A me sembra molto egocentrico” concluse la ragazzina, molto fiera d’aver utilizzato quel termine. “Egocentrico.” Le piacevano quelle parole che ti facevano sentire grande. E poi, andava bene per quasi tutti gli adulti. Loro erano così. Pensavano soprattutto a loro stessi. Lei e gli amici, nei loro discorsi, fantasticavano sempre di quando avrebbero costruito un mondo diverso. Migliore di quello in cui erano costretti a vivere.

«Lo zio vuole sapere se hai voglia di vedere qualche pezzo del suo ultimo lavoro» disse la madre, affacciandosi alla stanza.

La ragazzina sospirò. Le stava piacendo molto di più trascorrere qualche ora nell’ordinato microcosmo di Jane Austen, alla luce del paralume, con la tapparella abbassata per ricacciare l’invadente sole del Meridione. Non era, però, priva di pietas. Sapeva che lo zio, per quanto logorroico ed egocentrico, la portava in palmo di mano. Lui non aveva avuto figli. Era la sua nipote preferita. Be’, era anche l’unica.

Anche di giù le finestre erano state chiuse. Lei e la madre avevano un proiettore, con cui la sera guardavano i film sulla parete bianca del salotto.

«Dovreste prendere un telo…» disse lo zio, collegando il suo computer all’apparecchio. «Si vede meglio.»

«A noi piace un po’ sfocato» rispose la nipote.

«Così non rendete giustizia agli artisti. C’è un grande lavoro, dietro la produzione di ogni film» continuò, bonariamente, mentre cercava di far sì che il proiettore riproducesse quanto era sul computer.

La ragazzina si sedette al divano. Immagini di un mercatino esotico cominciarono a passare sullo schermo. In effetti, ora che notava, le immagini erano fuori fuoco. La madre era al lavello della cucina, si poteva sentire l’acqua cadere sull’acciaio.

Lo zio si sedette vicino a lei.

«Dobbiamo ancora montarlo. Questi sono solo spezzoni. Se vuoi ti posso anticipare quel che dirò nel documentario.»

«Preferisco godermi le immagini» rispose la nipote, piuttosto seccamente, infastidita dal pensiero di sentire lo zio ciarlare per tutto il pomeriggio. Il buonuomo s’accigliò un poco, ma lasciò che quanto lui e la sua troupe avevano ripreso parlasse per sé. Ogni tanto però non resisteva e s’esprimeva in qualche commento, su quel luogo o la tale persona che aveva intervistato. La nipote si chiese cosa portasse lo zio a pensare che tutto quanto lo riguardava fosse così interessante. Però, a quanto pareva, avere il suo pubblico. Sì, insomma, di matusa, un po’ noiosi, come lui.

«Questa è la mia parte preferita» disse lo zio, a un certo punto incapace di restare in silenzio. La nipote, che nel complesso era bene educata, si rassegnò a fare conversazione.

«Qui ci sei tu. A un banchetto.»

«È l’isola di Komodo. È un banchetto regale. Un matrimonio. Si tratta di un evento importante. Ha chiuso una faida fra famiglie che durava da decenni.»

La madre della ragazzina arrivò con un vassoio di caffè. Da quell’estate lei era stata molto decisa nell’affermare che anche lei avrebbe dovuto cominciare a berne, proprio come facevano gli adulti.

«Che bella festa» disse la donna. «Tu sei abituato a mangiare davvero di tutto. Altro che la nostra parmigiana.»

«È sempre la migliore» rispose l’uomo, educatamente, massaggiandosi l’ampia pancia.

«Perché le famiglie erano in lotta?»

«Diritti di pesca» disse, distrattamente, sorbendo il suo caffè.

«Mi pare di comprendere. È interessante» concesse la nipote.

«Questo potrebbe essere il mio ultimo lavoro» confessò l’uomo.

«Come?»

«Non si trovano più finanziatori. Le persone più giovani» disse, con tono di leggero e involontario rimprovero «non sono più interessate nei miei lavori. Vado avanti con uno zoccolo duro di sostenitori sempre più piccolo.»

«Mi avevi detto che avevate avuto la proposta di pubblicare l’archivio su quel sito tipo Netflix» disse la sorella.

L’uomo si massaggiò gli occhi.

«Sono piccole entrate. Niente di che. Mi vergogno nel confessarvi le cifre che mi hanno proposto per il lavoro di una vita.»

«Cosa faresti, se non potessi girare più i tuoi film?» chiese la nipote.

«Bella domanda. Uno non mette molto da parte, con questa vita. Non ho neanche una casa mia. Immagino che…» disse.

«Cosa?»

L’uomo avrebbe voluto dire che non gli sarebbe dispiaciuto stare un po’ da loro, per pianificare il domani. Magari provare a scrivere un libro di memorie. L’orgoglio lo trattenne. In famiglia, era sempre stato il grand’uomo, il celebre autore. Pensò che ne avrebbe forse parlato dopo, con la sorella. Cominciava a capire che la nipote non aveva più tanta stima di lui. Sotto la coltre di parole con cui si rimbambiva e rimbambiva gli altri, non era privo d’intuito.

La ragazzina sospirò.

«Il documentario è interessante. Vedrai che avrai successo» disse, ma si rendeva conto che le sue parole erano alquanto vuote. Era il solito lavoro dello zio. Cominciava a farsi un gusto suo, e ne vedeva i difetti. Era fuori moda. «Adesso però devo fare i compiti per le vacanze…»

«Se aspetti arriva la parte del dente di drago.»

«Cosa?»

«Il dente di drago. Quello che hai in camera.»

La nipote pensò, confusamente, che era solo un dente di coccodrillo. Qualcosa che regali a qualcuna perché non ti rendi conto che nel frattempo è cresciuta, e dà importanza ad altre cose nella vita, anziché a stupide storielle su draghi che non esistono. Trovò incredibile l’infantilismo dello zio. Si sentì esasperata.

Intanto, la scena cambiò su un membro della famiglia reale di Komodo. Stava consegnando al documentarista un collare col dente che avrebbe poi donato alla nipote. Sembrava un momento solenne.

«Te lo regalano?»

«È per ringraziarmi» spiegò lo zio.

«Per aver girato il film?»

«Ho avuto una qualche parte nella ricomposizione di quella faida che ti dicevo. Nulla di che» continuò, con inusuale modestia. «Per la maggior parte ha fatto la diplomazia delle zie delle famiglie.»

Nello spezzone successivo, apparvero i lucenti draghi di Komodo, che si contorcevano sotto il sole. Erano animali piuttosto celebri e, in quel momento, apparivano nell’ultimo documentario del maestro.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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