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Ostuni
Ottobre 19 2024

Dieci cose da fare prima di morire

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Si doveva liberare il garage da tempo. Scatoloni, vecchie collezioni di ceramiche, le biciclette in disuso dei ragazzi.

«Che ce ne facciamo di tutta questa roba?» chiese Pietro, guardando la bella confusione che avevano creato fuori dalla rimessa, come se avessero messo su un mercatino delle pulci.

«Le bici possiamo regalarle. Tutto il resto lo porterei all’isola ecologica» rispose Sara.

Si sedettero al piccolo marciapiede. La donna aprì il thermos. Erano sposati da trent’anni e ormai completamente affiatati. Sapeva che il marito amava bere una bella tazza di caffè a metà mattina. Soprattutto in una giornata come quella, dopo un lavoretto.

«Guarda che ho trovato in un vecchio marsupio» disse Pietro, allungando un foglio di carta spiegazzato alla moglie.

Le lo lesse. Sorrise.

«Che stupidi.»

«Giovani. Idealisti» disse lui, riprendendo in mano il foglietto.

«Non pensi sia triste che non abbiamo mai fatto niente di tutto ciò?» chiese la moglie.

«No. Penso che siamo invecchiati bene» disse lui, carezzandole la chioma tinta di biondo cenere. «Andiamo, queste cianfrusaglie non spariranno da sole.»

La moglie riprese il foglio. Lo guardò. “Dieci cose che dobbiamo fare prima di morire.” Scritto forse quando si erano conosciuti, o quando erano sposati da poco. Pensò di accartocciarlo per gettarlo, con il resto della roba, ma poi lo infilò nella tasca posteriore dei jeans.

«Com’è andato il temibile sgombero del garage maledetto?» chiese la collega, il lunedì, quando Sara fu in ufficio. La ragazza parlava sempre in questo modo. Stava cercando di ottenere successo come scrittrice di libri fantasy. Sara le prometteva sempre che avrebbe letto questo o quel testo che ogni tanto si pubblicava da sé, ma alla fine non si decideva mai.

«Anche questa è andata» rispose, sedendosi, accendendo il computer, con la testa rannuvolata dal pensiero del lavoro da compiersi. «Ci sono rimaste un paio di bici. A te ne serve una, per caso?»

«Portatele al centro d’accoglienza.»

«Centro d’accoglienza?»

«È dove stanno i migranti. Loro hanno sempre bisogno.»

Guardò la collega. Giovane — insomma, non giovanissima, andava per i trentacinque — ma ancora idealista, piena di illusioni sulla vita. Piena di vita. Lei e Pietro erano diventati delle persone disilluse, per molti aspetti. D’altra parte, pensò che non ci fosse nulla di male nel regalare la bici a un paio di bravi ragazzoni stranieri. Un piccolo atto di carità, senza grandi conseguenze.

Svolsero le pratiche del mattino. Poiché vivevano in una piccola città, era sempre in tempo a tornare a casa per preparare il pranzo a Pietro. Lui era in malattia perché si stava curando da un problema all’occhio destro, non grave, ma rognoso, che gli impediva di stare davanti a uno schermo. Si teneva occupato facendo cose come liberare il garage e ridipingere le stanze dei ragazzi. La casa non era mai stata più brillante e pulita di così.

«Pasta di grano saraceno, pomodorini, scaglie di Parmigiano…» disse lei, appena fu rientrata in casa. Era una loro gag. Suo marito le chiedeva subito cosa preparasse per il pranzo, così lei lo anticipava. Era sempre stato molto goloso. Però quel giorno non era ad attenderla in salotto, leggendo un giornale. Forse era in giro per casa a fare piccole riparazioni.

La donna si dedicò ai fornelli. Pietro, poco dopo, entrò carico di buste blu del negozio di articoli sportivi.

«Che hai fatto?»

«Un po’ di shopping.»

«Era tempo che cominciassi a fare sport. Che hai comprato? Pesi?»

«Molto meglio» disse lui, lanciando sul divano un paio di sacchi a pelo.

«Che sono?»

«Servono per il campeggio» disse. «La tenda è in auto.»

«Non capisco, che campeggio?»

«Il nostro.»

«Che dici?»

«Dieci cose che dobbiamo fare prima di morire. Quasi tutte sciocchezze, ma una possiamo farla. Accamparsi in spiaggia e fare il bagno all’alba.»

«L’acqua è freddissima a quell’ora, e siamo ancora in maggio» disse la donna, ridendo. «E poi, è vietato accamparsi in spiaggia.»

«I ragazzi lo fanno tutto il tempo.»

«Noi non siamo ragazzi. Che ti è preso?»

Pietro la guardò. Lei sorrise, si girò, e ricominciò a cucinare, in attesa che tutta quella follia si sgonfiasse da sola. «Pasta di grano saraceno, pomodorini, scaglie di Parmigiano…»

A tavola, Sara prese la lista della tasca e lesse:

«Non potremmo andare sull’Himalaya per avvistare lo yeti?»

«Troppo freddo.»

«Cenare sul ristorante che sta nella torre Eiffel. Questo possiamo farlo. I biglietti aerei ormai costano poco.»

«Ho controllato, il ristorante è chiuso da anni.»

«Hai controllato?»

«Sì.»

Il marito affondò la forchetta nella pasta. Sembrava in pensiero

«Perché vuoi fare una notte in tenda con me?» chiese Sara, carezzandogli il dorso della mano. «Abbiamo un letto molto comodo.»

Pietro fece per stropicciarsi gli occhi, ma la donna glielo impedì.

«Sento che dobbiamo fare almeno una delle cose in quella lista.»

«Prima di morire?»

«Sì.»

La donna ci pensò su. Sapeva che per lui era un periodo non facile, sempre da solo a casa, coi ragazzi ormai fuori, a condurre autonomamente le loro vite. Perché non poteva accontentarlo?

«Sentirò il campeggio. Ce n’è uno che dà sulla spiaggia. Prenotiamo una notte.»

«Così togli tutta la magia.»

«Poi vediamo il tramonto e facciamo un bel bagno all’alba, sperando non ci venga un infarto. Così va bene per te?»

«Va bene.»

Continuarono a mangiare in silenzio. Ormai si parlavano poco, ma era un silenzio piacevole, come di chi si è detto già tutto quello di cui si può parlare e può godersi la pace e la semplice presenza della persona amata.

“Hai sentito che fanno mamma e papà?” scrisse la loro figlia minore, quella che era ancora all’università, al fratello.

“Crisi di mezz’età.”

“Ma è il loro anniversario?”

“È fra tre mesi.”

“Che teneri.”

“Bleah.”

Il figlio maggiore credeva di essere contro i matrimoni. Era un intellettuale di sinistra.

«Sicuri di non volere un bungalow?» chiese la proprietaria del campeggio, quando li vide arrivare attrezzati di tutto punto. «Siamo fuori stagione. Costa quasi lo stesso.»

«Va bene la tenda.»

«Ma voi non siete di qui? Vi ho già visti.»

«Sì, certo, abitiamo in paese.»

«D’accordo» rispose la donna, dubbiosa, ma decisa a non farsi troppo i fatti altrui. «Vi porto allo spiazzo.»

«Grazie.»

Per certi versi, erano una coppia all’antica. Pietro si dedicava ai mestieri pratici, come cambiare la gomma forata dall’auto o, in quel caso, montare una tenda. Sara si occupò del fornello a gas. Pensava che sarebbe stato divertente, per loro che mangiavano sempre così bene, arrangiarsi per una sera con zuppa pronta e caffè solubile.

«Com’è il rancio?»

«Non male.»

Sara sorrise.

Dopo la cena, si recarono alla spiaggetta, per guardare il sole tramontare. Sara prese la lista dalla tasca e si strinse a Pietro. Guardò il profilo del volto del marito. Sentì, come una novità, il suo odore, al quale era tanto abituata. S’accorse che la felicità va riassaporata.

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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