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Ostuni
Ottobre 18 2024

Dentro la fortezza

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«Perché vendete una casa tanto bella?»

«Ci trasferiamo per lavoro» rispose la giovane donna, senza smettere d’impacchettare i soprammobili del salone. S’alzò. Si passò un panno bianco sulla fronte, ma il panno era sporco di polvere e creò una striscia. L’uomo non disse nulla. «Mio marito è via» continuò la donna «ma posso firmare io i documenti.»

«Andiamo in cucina?» chiese l’agente immobiliare, prendendo fra le braccia la borsa nera dove c’erano gli atti per il trasferimento di proprietà.

«Le faccio strada.»

«So dov’è. Comincio a preparare i documenti.»

L’uomo andò nella cucina, illuminata da una grande porta-finestra in ferro battuto nero che dava sul giardino. Poggiò la borsa sul tavolo, prese i documenti e li mise in ordine. Andò al lavello d’acciaio, scelse un bicchiere oblungo dalla dispensa e si versò dell’acqua.

La bambina era sporca di terra e aveva in mano una palla arancione di gomma.

«Sei un amico di mamma?»

L’uomo prese dalla borsa una biro con il logo della sua agenzia.

«Lavoro per lei. Prendi questa, usala a scuola.»

La bambina la afferrò. Se la rigirò con fare dubbioso.

«Ho già tante penne.»

«Regalala a un’amica.»

La piccola la poggiò sul tavolo, vicino ai documenti da firmare.

«Vieni a vedere il mio vulcano» disse.

«Hai un vulcano tutto tuo?»

«L’ho fatto io.»

Andarono in giardino e, attorno al giardino, c’era un campo assolato, con gelsi, mandorli e pruni in fiore. Vicino a una montagna di terra, con un cratere sulla cima, c’era il tubo di plastica dell’acqua, da cui fuoriusciva un rivolo, e una piccola pozzanghera creata dall’acqua del tubo. La bambina s’accovacciò vicino al suo vulcano e infilò nell’apertura la palla arancione. Poi la faceva eruttare, e rideva, ed era felice. Non pensava più all’uomo che era lì con lei.

L’agente immobiliare guardò l’appezzamento di terra dove stava la casa. In fondo, costruita al fianco di uno dei mandorli, c’era un capannino aperto con una tettoia di fil di ferro verde. Sotto di essa erano stati accatastati vecchi elettrodomestici arrugginiti e altri rottami da portare all’isola ecologica. C’erano anche i resti di un divano.

«Il divano beige» disse, guardando i cuscini e la struttura in legno dove erano accatastati. «Hanno ancora il divano beige.»

«Di che parla?» chiese la donna, che era uscita dalla cucina con due tazze di caffè. L’uomo prese meccanicamente la sua, ma non sembrava interessato.

«Io… non è professionale, lo so, ma i giochi della bambina, e la vista di quel che resta di quel divano, mi hanno fatto tornare in mente di quando ero piccolo, e giocavo in questa casa.»

«Era ospite di questa casa? Era amico di giochi di uno degli inquilini?»

«Proprietario. I miei, almeno, avevano questa casa prima di quelli che l’hanno venduta a voi.»

«Mi racconti.»

«Non è professionale.»

«Non importa.»

Andarono, col loro caffè, vicino al capannino.

«Non riesco a credere che in casa c’era ancora questo divano.»

«Ha un significato particolare, per lei?»

«Sì. Lo aveva, almeno. Io e il mio migliore amico usavamo i cuscini per costruire una fortezza. Ci nascondevamo dentro per ore e la tenevamo su per giorni, con disperazione dei miei genitori. Quando eravamo soli, dentro la fortezza, ci confidavamo.»

«Mia figlia lo ha disegnato tutto, per questo ce ne liberiamo.»

«Anche i nostri genitori volevano buttarlo, ma io feci un vero e proprio sciopero della fame. Vinsi, come è evidente.»

«Ora però dovrà andare via.»

«Tutto passa.»

«È rimasto in contatto col suo amico d’infanzia?»

«Mario. Viviamo in città lontane. No, non tanto. Vede…»

«La ascolto.»

«Secondo lui, dovremmo essere tutti dei supereroi. Capisce cosa intendo?»

«Credo di capire.»

«Io però sono rimasto in paese. È andata così.»

«Mi sembra una bravissima persona» disse la donna, ponendo una mano sul suo avambraccio.

«Serene sere estive… giochi e odore di citronella. I miei qui amavano fare grigliate e invitare amici, parenti. Ne abbiamo viste tante, con Mario e gli altri nostri compagni di giochi. Poi papà se ne andò in demenza precoce. Anche per questo ho cominciato a lavorare tanto presto.»

«Mi spiace per suo padre.»

«Ora non soffre più.»

«Siete stati felici qui.»

«Sì.»

«Anche noi, molto.»

«Mi fa piacere sentirlo.»

«Scatti una foto al divano. La mandi a Mario, il suo amico.»

«Non si ricorderà.»

«Si ricorderà.»

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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