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Ottobre 18 2024

Il rumore della pioggia nel vigneto

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Oggetto: Il rumore della pioggia nel vigneto

Mittente: Stefania Rossi <rossi.stefania81@yahoo.it>

Data: 16/04/2022

A: giovanniandreacamporeale@gmail.com

 

Caro Giovanni,

di certo ti sorprenderà ricevere questa mail dopo tutto il tempo in cui non ci siamo visti, né sentiti. Forse neppure ti ricorderai di me, ma credo che ti ricordi. Ci siamo incontrati l’ultima volta in campagna da Sara. Ci invitò a una grigliata, per festeggiare la sua laurea. Ricordo ancora, come fosse oggi, il grande fumo che si sollevava dalla griglia del suo cortile e voi uomini bere birra e fare battute grossolane. Tu no, non eri come gli altri. Più timido, in disparte, custodivi la tua bottiglia come contenesse il liquido più prezioso del mondo. Io, forse ti ricorderai, ma probabilmente non ti ricordi, ero vestita di verde, l’unica non laureata del gruppo. Avevo conosciuto Sara perché era mia cliente al salone di bellezza, quello da dove escono quelle donne che poi piacciono tanto, che vi fanno ammattire. Per la maggior parte la bellezza di una donna è arte, è la mia arte. Forse non ti ricorderai, ma forse ti ricordi, di quanto fosti gentile con me, porgendomi il piatto con la carne e il bicchiere di vino rosso e mi parlasti dei tuoi grandi progetti per il futuro, che stavi prendendo la laurea in biologia e volevi diventare un divulgatore come il tuo mito Piero Angela. Io ti ascoltavo ammirata, perché mi sembrava che non eri come gli altri, che avessi dentro un fuoco inestinguibile, che guardassi a un orizzonte più ampio di quello angusto di quei quattro compari di bevute. Tu non eri come loro. Tu mi sembravi diverso.

Poi Sara mi prese da parte per confessarsi. Non so perché le persone vengono sempre a parlare da me, forse pensano che noi ascoltiamo, che siamo pazienti, noi, che siamo al servizio di voialtri. Ricordo che entrammo nel suo salotto, così fine (i suoi genitori erano persone di un certo riguardo, arredavano con cura anche la seconda casa), dicendomi che si era laureata con troppo ritardo per via di un impiastro con cui usciva e che l’aveva impacciata, ma soprattutto era preoccupata perché non aveva poi dato un esame di latino che le era indispensabile per insegnare e questo lo aveva confessato solo a me, soltanto a me. Io le chiesi — non è che capisca granché di queste cose — se poteva dare l’esame lo stesso. Lei, ridendo, guardandomi, disse che sì, ma non ci voleva pensare in quel momento, voleva godersi l’ultimo scorcio di vacanze. Sempre ridendo mi diede un colpo col dorso della mano sul petto. Mi disse che io ero “una forte.” Secondo me, voi laureati siete tutti uguali.

Poi, come al solito, mi resi utile, che è l’unica cosa che riesco a fare. Ritirai i piatti sporchi e le bottiglie di birra vuote. Ricordi che ero vestita di verde? Ogni tanto mi guardavi, me n’ero accorta, non eri tanto interessato a stare in una riunione di maschi che parlavano di calcio, e di femmine che si chiedevano perché i maschi non se le calcolassero. Per tutta la mattina il cielo era stato nuvoloso. Noi non ci avevamo fatto caso. Volevamo divertirci. Sara mi chiese se per caso mi piacesse l’uva. Era un messaggio in codice per chiedermi se non volessi andare a vendemmiare un poco, per il benessere dell’intera compagnia. Allora andai in cucina. Presi una coppa di plastica verde e le forbici, senza stare troppo a chiedere dove fosse cosa. Le persone come me sanno sempre dove si trovano le masserizie.

Sì, nel frattempo che non ci siamo visti ho letto qualche libro, ma non ho grandi pretese. Continuerò a essere quello che sono per tutto il resto della mia vita. Però spero ti piaccia ora il mio vocabolario più esteso, anche se lo so che commetto ancora tanti errori.

Però sono sempre stata al servizio degli altri. Non ho fatto altro, per tutta la mia vita.

Allora sono andata sotto il vigneto per prendere l’uva e, poco dopo, ha cominciato a piovere. All’inizio una pioggerella rinfrescante, estiva, per nulla fastidiosa, anzi piacevole. Poi più grossa, ma io ero protetta dalle foglie della vigna e per un po’ ho continuato a vendemmiare senza pensare ad altro se non al mio lavoro, senza pensare a nulla, come non penso a nulla quando lavoro.

Poi ti sei affacciato al vigneto. Avevi con te un ombrello. Mi chiedesti se avevo bisogno. Ti giudicai tenero. Galante. L’unico che aveva pensato a me. La pioggia era sempre più grossa e faceva molto rumore sulla vigna e sui pali di ferro che la sostenevano. Io ti guardai. Ricordi, che ero vestita di verde?

In quel momento, anche tu mi guardasti, mentre eravamo insieme, sotto la vigna. Da allora io mi chiedo se qualcosa sarebbe potuto succedere. Se tu avessi fatto qualcosa. Se io avessi fatto qualcosa. Non feci niente perché mi dissi che tu eri un laureato. Saresti diventato un noto giornalista. Le donne come me non le guardavi.

Ma forse eri troppo timido. O forse, non era affatto un “momento”. Era tutto nella mia testa.

Solo ora, a distanza di anni, entrambi grandi e avanti con le nostre vite, trovo il coraggio di chiederti se in quel momento qualcosa ti passò per la mente.

Te lo chiedo perché, non tanto, ma a volte ti penso, quando sento il rumore della pioggia.

 

Tua,

Stefania

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Domenico Santoro
Domenico Santorohttps://domenicosantoro.art.blog/
Nato nel 1986 a Ostuni, dove risiede, laureato in scienze politiche e filosofia, scrive narrativa e poesia. Ha pubblicato poesie e racconti su la Repubblica (ed. Bari), A4, Grado Zero, Risme, Il paradiso degli orchi, Spore, L’ircocervo, Quaerere, Bomarscé, Voce del Verbo. Nel 2021 ha pubblicato un romanzo (“Il posto delle cose”) con Placebook Publishing. Il suo sito personale è domenicosantoro.art.blog.
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